Il passo evangelico di questa calda domenica agostana narra un episodio celeberrimo, di cui nessun commento risulterà mai pienamente soddisfacente, tanto è gravido di senso.
Cerchiamo, appresso, di proporre alcune briciole esegetiche.
La settimana scorsa abbiamo chiuso il nostro incontro facendo riferimento ad un principio ermeneutico proprio della tradizione rabbinica, ovvero il ghezéra shavá.
Proviamo a renderlo efficace anche nell’occasione odierna.
Il libro del Siracide (detto anche Ecclesiastico), per noi cattolici considerato «ispirato», era escluso, invece, dal canone ebraico e non faceva parte della Scrittura (Tanách). Tuttavia era comunque letto da alcune correnti ebraiche, nonché da alcuni scribi e farisei (chi lo sa se anche Gesù lo leggeva…) –Da notare come dal canone ebraico fossero esclusi quei libri che non erano scritti in ebraico, ovvero erano redatti o avevano interpolazioni in greco. Interessante al tal proposito come nel brano del Vangelo di Marco (Mc 7, 24-30), che va in sinossi con l’odierno Mt 15, 21-28, la «donna cananea» sia esplicitamente definita «donna […] di lingua greca» (Mc 7, 26); ed altrettanto interessante è il fatto che la sezione particolare del Siracide che prenderemo tra poco in considerazione (Sir 26, 19-27) sia proprio una parte aggiunta in lingua greca. Curioso, poi, come l’autore del Siracide si chiami proprio Gesù. Per usare una frase ad effetto: il Siracide era «straniero» (escluso per il canone ebraico), quanto «straniera» era proprio la donna cananea (greca).
Ma che c’entra il Siracide col Vangelo di questa domenica?
Ebbene, il capitolo 26 del Siracide è tutto fortemente in parallelo con la pericope odierna, tanto da poter mettere i due brani (Sir 26 e Mt 15, 21-28) in profonda sinossi: la «donna», invero, caratterizza in maniera preponderante il capitolo veterotestamentario citato, il quale non manca di far riferimento anche alla «figlia»; figure, queste, che animano chiaramente il Vangelo di oggi.
Da Siracide 26, però, estraiamo alcuni versetti, i quali centrano distintamente la lettura evangelica in questione.
1- «Figlio, conserva sano il fiore dell’età e non affidare la tua forza a donne straniere» (Sir 26, 19).
Orbene, la zona di «Tiro e Sidone» (anche se molto vicina, nonché fortemente vincolata da strette relazioni, alla Galilea) era propriamente considerata terra straniera; tanto è vero che la donna che si rende protagonista del racconto evangelico odierno è esplicitamente chiamata «cananea», una specificazione che non fa altro se non ribadire il concetto di «straniera» (Cf. Mt 15, 21-22).
2- «Figlio, conserva sano il fiore dell’età e non affidare la tua forza a donne straniere» (Sir 26, 19).
Rimanendo ancora in questo versetto, ritroviamo altri elementi interessanti presenti nel Vangelo odierno.
La donna cananea, infatti, chiama Gesù esattamente «figlio di Davide» (Cf. Mt 15, 22); e il comportamento di Gesù si concreta puntualmente in un non dedicarsi a codesta donna, tanto è vero che «egli non le rivolse neppure una parola» (Mt 15, 23), precisando, poi, di non essere stato mandato «se non alle pecore perdute della casa d’Israele». (Mt 15, 24).
3- «La donna che grida ed è chiacchierona è come tromba di guerra che suona la carica» (Sir 26, 27).
Molto interessante, poi, quest’altro versetto appena citato.
Difatti nella pericope odierna è scritto esattamente come la donna cananea «si mise a gridare» (Mt 15, 21) al cospetto di Gesù; e tale atteggiamento è ribadito anche dall’osservazione dei discepoli: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!» (Mt 15, 23).
Da notare, inoltre, una particolare sottigliezza che viene dal testo greco originale dell’estratto matteano.
Quando la donna cananea si prostra dinanzi a Gesù, esclama: «Signore, aiutami!» (Mt 15, 25).
L’invocazione «aiuta(mi)» in greco è boéthei (moi).
Ebbene, il verbo boétheo (da cui la coniugazione boéthei) è composto dal sostantivo boé («grido») e dal verbo théo («correre»), e letteralmente andrebbe tradotto come «Signore, corri al mio grido».
Il tema del «gridare», quindi, è propriamente ribadito.
Ma non basta.
Questo nome boé («grido») specificamente significa proprio «grido di guerra».
Ecco, quindi, come il citato versetto di Sir 26, 27 sia profondamente sinottico al comportamento della donna cananea. Il versetto di Mt 15, 25, invero, si potrebbe rendere tecnicamente con: «Signore, corri al mio grido di guerra». – Ovviamente il concetto di «guerra» andrebbe sviluppato, ovvero si potrebbe rendere con «corri nelle mie guerre/turbamenti/tumulti»; oppure potrebbe anche alludere ad una provocazione (una «guerra») che la donna cananea lanciava a Gesù. Ci basti questo.
4- «La donna sfrontata viene stimata come un cane, quella che ha pudore teme il Signore» (Sir 26, 25).
Non è difficile ritrovare in tale versetto il riferimento ai «cagnolini» di Mt 15, 26-27, ovvero l’accostamento «donna-cane», presente tanto in Siracide 26 quanto in Matteo 15. –Nel mondo ebraico, appellare una persona col termine di «cane» o peggio ancora «cane morto» era propriamente un’offesa immane: «Allora Abisài, figlio di Seruià, disse al re: “Perché questo cane morto dovrà maledire il re, mio signore? Lascia che io vada e gli tagli la testa!”» (2Sam 16, 9).
Inoltre, possiamo certamente qualificare la donna cananea del Vangelo come una «sfrontata», data la sua pervicace insistenza al prestigioso Rabbi, il quale aveva chiaramente manifestato, tanto col suo silenzio (Cf. Mt 15, 23), quanto con le sue aperte parole (Cf Mt 15, 24.26) di non volerle prestare attenzione. –Molto interessante (ma lo riportiamo solo a titolo di mera citazione) come tale episodio sia assai vicino pure alla vedova (la donna cananea sembrerebbe anch’essa una vedova) che insistentemente chiedeva giustizia al giudice (Cf. Lc 18, 1-8).
5- «La donna sfrontata viene stimata come un cane, quella che ha pudore teme il Signore» (Sir 26, 25).
Passiamo alla seconda metà di questo versetto.
Fino ad ora, la donna cananea è esattamente così come descritta nei crudi versetti del Siracide che abbiamo considerato; e Gesù non manca di rigettarla, adempiendo perfettamente a quanto prescrive il dettato di tale testo sapienziale.
Tuttavia nel Vangelo, il «pudore» della pronunzia di questa medesima donna sconvolge la linearità e la naturale consequenzialità dell’episodio: «eppure [dice la donna a Gesù] i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (Mt 15, 27).
Cosa ha fatto cambiare tono, ritmo e approccio alla donna cananea?
Come ha fatto questa donna a passare così repentinamente dall’essere «cane», a persona «che ha pudore», ovvero timorata del Signore; considerata dal Signore?
Ma siamo proprio sicuri che la donna cananea non sia stata fin da sempre «pudica»?
Non è che Gesù ha fatto di proposito a comportarsi così, per saggiare tanto la donna quant’anche (così come fece poco prima – Cf. VENUTA LA SERA) i suoi discepoli («Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!”» – Mt 15, 23)? -Fatta sempre salva la cosiddetta «cardiognosi» di Gesù, ovvero la capacità del Signore di leggere nei cuori; di «conoscere i cuori».
Ebbene, molte risposte potremmo darci; e tra queste ci piace rimanere a Siracide 26, così come vediamo appresso al punto 6. –Interessante, ad esempio, sarebbe evidenziare il gioco tra i due diminutivi «cagnolini-briciole», aspetto che primariamente ci invita certo al tono umile della vicenda, ma che, con sottigliezza, mette quasi ironicamente in sintonia, sulla stessa linea d’onda, la donna cananea e Gesù: se questa donna è un «cagnolino», non è forse vero che Gesù, il Signore, si farà «briciola», ovvero è la «briciola di Dio»? Egli che, incarnandosi, si è «spezzato» (sbriciolato) dal Padre; Egli che, Pane di Vita, si «spezzerà» (sbriciolerà) per la nostra salvezza («briciola» nel greco originale è “psikhíon”, nome che nella sua radice esprime tecnicamente proprio il concetto dello «spezzare». Letteralmente, poi, “psikhíon” andrebbe tradotto con «briciolina di pane», in quanto è diminutivo di “psícs”, nome che significa già esso stesso «briciola di pane»). È ironico, invero, come Gesù chiami «cagnolino» la donna cananea, la quale, dal canto suo, invoca il Signore, il figlio di Davide, elemosinandolo quale «briciolina». Sembra quasi dire a Gesù: «Certo, tu sei il Pane, ma sei pure la Briciolina, che proprio in quanto minuzia riesce ad infiltrarsi e a farsi prossimo nelle piccolezze di noi miseri cagnolini» (Cf. il concetto ebraico di “anawím”). Ecco una enorme differenza tra la nostra religione cattolica e l’islam: Gesù Cristo, il Signore, non è solo “Alláh hu Akbár” («Dio è più grande [di ogni possibile immaginazione]»), bensì anche e pienamente “Alláh hu Asgár” («Dio è più piccolo [di ogni possibile immaginazione]»). Da rilevare, infine, un’altra similitudine, sintonia, tra la donna cananea e Gesù: invero, come la prima ha accettato, senza disdegno, l’attributo di «cagnolino»; anche Gesù non ha disdegnato di accettare il suo «svuotarsi dal Padre», il suo «farsi briciolina».
6- Il capitolo di Siracide 26 volge a chiusura in tal modo: «Due cose rattristano il mio cuore, e una terza mi provoca collera: un guerriero che languisce nella miseria, uomini saggi trattati con disprezzo e chi passa dalla giustizia al peccato […]».
Ebbene, la donna cananea è propriamente una «guerriera che languisce nella miseria» della sua prova; e costei ha dimostrato di essere chiaramente una «donna saggia trattata con disprezzo» dall’assalto del male (demonio – Cf. Mt 15, 22)».
E ciò certamente «rattristava il cuore» di Gesù.
Eppure il Signore appare fortemente in «collera» con costei. –Sappiamo che la «collera divina» altro non è se non la «nostra libera scelta di lontananza dal Signore».
Ebbene, nella tradizione ebraica il male, ovvero una persona afflitta da sofferenze e dolori o invasa da demóni, rappresentava una maledizione, ovvero una «collera divina».
Tuttavia la donna cananea, nel rivolgersi a Gesù, nell’«elemosinare» l’intervento di Gesù, esprime fortemente e palesemente la volontà di passare da una condizione di peccato (manifestata dalla figlia «tormentata da un demonio» [Cf. Mt 15, 22]) all’abbandono in Colui che è la piena giustizia; passa dall’essere «straniera», all’essere «canonica».
E da ciò, come poteva Gesù rimanere in «collera», dinanzi a questo decisivo passaggio?
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.