L’ingratitudine della (prima) Chiesa
Sarebbe stata da licenziare in tronco, all’istante, la squadra dei discepoli di Cristo che quel giorno stava in servizio. “A causa di mancanza di gratitudine, mi vedo costretto a sciogliere la truppa” avrebbe potuto scrivere Cristo stesso. La loro ingratitudine manco Lui se l’aspettava. O, forse, l’aveva calcolata appieno: l’ingratitudine, alla fine, è la figlia primogenita della superbia.
Appena il tempo di diventare grandi e invidiati – erano pur sempre gli amici del Predicatore famoso che accendeva la Galilea -, si scordano le loro origini, montandosi letteralmente il cranio. Eppure era povera gente quando Lui li aveva adocchiati: poco più di una banda di straccioni e beduini, pur facente funzione di pescatori, per grazia di Dio divenuti il gruppo più invidiato della storia: “Eccoli là gli amici del Cristo” diceva la gente quando li scrutava all’opera, di passaggio, accanto a Lui. Fosse stato per loro, vale la pena ricordarlo, sarebbero rimasti a riassettare le reti nella battigia di Cafarnao: erano incapaci in materia di Cielo. Capitò che, un giorno, il buon Dio scegliesse degli incapaci come loro per renderli capaci di straordinarie manovre nel cuore dell’uomo. Eran, dunque, in (grosso) debito di riconoscenza.
La gratitudine, però, è dei cuori sinceri, l’ingratitudine dei cuori velenosi. Al primo momento disponibile, ecco il loro vero cuore: la gente cerca Cristo, Gli sta alle calcagna da ore, fa gli straordinari per stare appesa alla sua speranza. Poi, quando il sole tramonta, i discepoli si mostrano per quello che sono: gente che pensa alla loro pancia. Gente che, toccategli il portafoglio, gioca d’anticipo: «Il luogo è deserto, è tardi; congeda la folla perchè vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Sono gli amici più intimi del Cristo a ragionare così: “Mandali via, Cristoddio, che questi ci creano casini per la cena. Ci rubano il pane, iniziano a fare storie, si appiccicheranno attorno a noi, Rabbì!” Mandali-a-casa è lo stesso che dire chissenegfrega del loro destino, che si arrangino, peggio per loro, non sia mai che ci rovinino la serata.
Un bellissimo modo di ragionare, firmato da chi appena fatto carriera s’è scordato di esserci arrivato non per meriti propri ma per pura grazia di Dio. “Ma quanto villani siete, gente!” verrebbe da dire: «Credo che la miglior definizione che si possa dare dell’uomo sia questa: creatura bipede ed ingrata» scrisse il romanziere russo F. Dostoevskij. Il Cristo, da parte sua, non si scompone più di tanto: oltre al fatto d’averli scelti lui quei dodici, sa bene che non si lavora aspettando le lodi del mondo, perchè il mondo è un cattivo pagatore e paga sempre con l’ingratitudine. Aiutare, poi, non fa altro che aumentare il numero degli ingrati. Preferisce, ancora una volta, farli svergognare con eleganza: siccome li volete cacciare, «voi stessi date loro da mangiare!» Le scuse abbondano sulla bocca dell’ingrato: «Non abbiamo altro che cinque pani e due pesci». Bugiardi, oltrechè ingrati: cinque pani, due pesci, più Cristo. Che, a rigore di logica, avrebbero dovuto sapere è l’elemento che fa la differenza.
Con la pancia piena, illusi di avere già qualche zucchetto in testa, assistono in diretta a cosa significhi amore-di-ritorno, amare non per filantropia ma perchè amati per primi. «Prese i cinque pani, i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli». Piccolo particolare dorato: «E i discepoli (li diedero) alla folla». Loro che volevano mandarli a casa perchè non rompessero le scatole, sono costretti a dare loro il pane appena uscito dalle mani del Dio-fornaio. Impareranno la prima di tantissime lezioni: l’ingratitudine è un tradimento nei confronti dell’umanità e quando di un uomo hai detto che è un ingrato hai detto tutto il peggio che puoi dire di lui. Questa, signori-signore, è la prima chiesa nascente, quella che ha vissuto gomito a gomito con il Cristo vivo: non giustifica nulla della Chiesa di oggi, è solo promemoria di quant’è difficile, in tempo di vacche grasse, ricordarsi quando si pativa la fame e si era nessuno. È sempre facile immaginarsi Dio come proprietà-privata e mandare a casa gli altri.
Commento a cura di don Marco Pozza
(Qui tutti i precedenti commenti al Vangelo di don Marco)
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