Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 29 Luglio 2020

Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro, sono nei vangeli figure dell’accoglienza e dell’ospitalità. Il Dio “amico degli uomini” ha voluto aver bisogno dell’umana accoglienza, ha gioito dell’ospitalità di una casa, dei segni di premura e di attenzione che gli sono stati porti: egli infatti “nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con loro, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé” (Dei Verbum 2). 

L’incontro si fa servizio, diakonía, cura materiale, in una “premurosa dedizione d’amore” (Messale romano, 29 luglio, sulle offerte), in uno slancio generoso di affaccendata ospitalità, che però dev’essere costantemente “sorvegliato” perché non degeneri in un affaccendarsi che diviene affanno e agitazione (cf. v. 41). 

L’incontro si fa ascolto, che è scelta della “parte buona” (v. 42), nel gesto di chi si siede ai piedi della Parola per mettersi in ascolto (cf. v.39). Postura dell’accoglienza e dell’umiltà di chi sta in basso, per ascoltare e ricevere la parola che discende verso quanti tendono l’orecchio, come notava Agostino: Maria “era attenta alla dolcezza della parola del Signore. Marta era intenta a come nutrire il Signore, Maria invece era intenta a come essere nutrita dal Signore. Maria dunque ascoltava con piacere quella parola dolcissima e se ne nutriva con il cuore tutto assorto in essa”; per questo “stava seduta ai piedi del nostro Capo: quanto più in basso (humilius) sedeva, tanto più riceveva. L’acqua infatti affluisce verso la bassura delle convalli (ad humilitatem convallis), ma scorre via dalle alture dei colli”.

L’incontro si fa legame d’affetto, sino a sfidare l’ostacolo estremo della morte: “Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”, dirà Gesù dinanzi al sepolcro del suo ospite (Gv 11,11), dove verserà le sue lacrime amiche, scoppiando in pianto (cf. v. 35), tanto che i presenti diranno: “Guarda come lo amava!” (v. 36). 

“Dio fa abitare in una casa coloro che hanno un unico intento” (Sal 68,6 lxx): la monotropía di Marta, Maria e Lazzaro, il loro essere volti in un’unica direzione, quella dell’apertura ospitale all’altro, si traduce nel comune abitare in una stessa dimora, in cui entrerà il Signore stesso: “Marta lo accolse nella sua casa” (Lc 10,38).

La casa è per l’uomo un’esperienza originaria, che dice l’origine, la provenienza, la cura, la condivisione, la paternità e la maternità, la fraternità e la sororità, i legami di sangue e di amicizia, il ventaglio degli affetti e dei sentimenti, gli opposti della vita: la casa è un luogo-tempo per nascere e morire, per entrare e per uscire, per demolire e costruire, per amare e odiare (cf. Sal 120,8; Qo 3,2-8). 

In questo luogo del raccoglimento e dell’apertura, in questa dimora degli affetti, in questo spazio delle cose,l’uomo impara a diventare umano e, se non dimentica l’ospitalità, praticandola, potrà forse – senza saperlo – avere la grazia di accogliere presso di sé la visita degli angeli (cf. Eb 13,2). È questo il dono che osiamo invocare in questo giorno:

“Dio onnipotente ed eterno,
il tuo Figlio ha accettato l’ospitalità nella casa di Marta:
concedi anche a noi
di servire fedelmente Cristo nei fratelli,
per essere accolti da te nella dimora del cielo”
(Messale romano, 29 luglio, colletta).

fratel Emanuele


Fonte

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