Il commento al Vangelo di domenica 2 Agosto 2020 – Anno A, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.
Farsi pane
Fame, tanta fame.
Di affetto, di gioia, di pace, di emozioni, di amore, di denari, di cibo buono, di vacanza, di normalità, di amicizia, di luce, di tutto.
Siamo definiti dagli appetiti, dal desiderio. Siamo ciò che desideriamo.
Il nostro mondo, spesso, inganna, ci inganna, facendoci credere che la nostra fame si placherà con poco. Basta acquistare ciò che ci viene proposto. E ci sono persone che passano la vita a tormentarsi nell’invidia perché non hanno fama, like, lussi, vacanze in luoghi esotici.
Capiamoci: meglio una vita rilassata e senza ansie che una fatta di paure e miserie, ovvio.
Ma solo se alziamo lo sguardo, se passiamo ad un altro livello, ce la possiamo fare.
Perché è Dio che ha messo nel nostro cuore il desiderio. Per iniziare una magnifica caccia al tesoro.
Per trovare la perla preziosa della sua presenza.
Per diventare, infine, cercatori e mendicanti di luce.
Abbiamo fame, tanta.
A Babilonia
Isaia promette al popolo in esilio un pane gratis che sfamerà ogni cuore.
In realtà il popolo, in esilio da ormai cinquant’anni, ha la pancia piena.
Si è integrato, ha comperato case in Babilonia, nessuno pensa più seriamente di tornare ad una terra che non ha mai visto.
Pochi torneranno, dopo l’editto di liberazione di Dario e non troveranno ad attenderli pane e miele, ma difficoltà e odio da parte di chi ha occupato le loro case.
Ma troveranno anche il vero volto di Dio.
Anche noi, a volte, ci accontentiamo delle piccole e temporanee sazietà che la vita ci offre. Pensiamo di avere capito e fatto tutto perché siamo riusciti a realizzare qualche sogno.
Quanto è difficile suscitare fame in chi ha la pancia piena! La fame di senso, di felicità, di pace a chi si accontenta della piccole (legittime) gioie che la vita ci offre!
Il primo passo verso la conversione è la consapevolezza del desiderio di felicità profonda che portiamo nel cuore. Il primo passo verso Dio è mettere a fuoco che il desiderio infinito che portiamo in noi può essere riempito solo dall’infinito.
Folle
Molta gente si raduna attorno a Gesù.
Ha compassione, il Signore, ama il popolo, sa di cosa abbiamo bisogno. Non è distratto il nostro Dio, non se ne sta sulle nuvole a governare le formichine. Eppure, davanti alla folla, il Signore non agisce, ma chiede ai suoi di agire.
Con tanto buon senso i discepoli gli suggeriscono di ignorare il problema: ognuno si arrangi.
Non ce la possiamo fare. Non ora. Non adesso che ci scopriamo indeboliti e fragili, spauriti e aggressivi.
Non ora che la Chiesa mostra le sue rughe, le sue fatiche, le sue lentezze, le sue ombre, superficialmente ignorate da decenni in cui si pensava fin che la barca va lasciala andare.
E, ora, che siamo così spaesati dovremmo anche farci carico della folla?
Per ora no, magari quando e se ci saremo riorganizzati, dai. Non scherziamo.
Aspettiamo di tornare alla normalità. Se mai tornerà. Poi vedremo…
Non fa così il Maestro. Non porta a questo la compassione, quella vera, quella di Dio.
La fame si può saziare, quella fisica e quella interiore, ma ad una sola condizione: mettersi in gioco.
Pani e pesci
Non siamo capaci, non abbiamo i mezzi, non abbiamo sufficiente fede, abbiamo troppa zizzania nel cuore.
Ogni scusa è buona per aggirare la richiesta. Gesù insiste: a lui serve ciò che sono, anche se ciò che sono è poco.
La sproporzione è voluta: pochi pani e pesci per una folla sterminata; è una situazione che produce disagio, sconforto, la stessa sensazione che proviamo noi quando cerchiamo di annunciare la Parola, di porre gesti di solidarietà, di bene. Incontro i miei ragazzi e sto con loro un’ora a settimana: giochiamo, parliamo, annuncio loro il bel modo di vivere che aveva Gesù. Poi escono, e per un’intera settimana sentiranno e vivranno il contrario: violenza, egoismo, opportunismo.
Vivo come uomo di pace e i miei colleghi d’ufficio ne approfittano e mi fregano.
Consacro la mia vita al Vangelo, corro come un pazzo da una Parrocchia all’altra e la gente pensa che io sia una specie di funzionario del Vaticano.
Occorre arrendersi?
No: il nostro è gesto fecondo se accompagna l’opera di Dio, è segno profetico che imita l’ampio gesto del seminatore, è icona di speranza che imita la pazienza verso la zizzania del padrone del campo.
Chi o cosa?
Paolo riflette sul suo percorso e scrive alla comunità di Roma.
La vita è faticosa, allora come oggi, per tutti, non scherziamo.
E le prime, fragili comunità, dovevano fare i conti con tante difficoltà.
Paolo osa. Interroga. Provoca. Consola.
Chi ci separerà dall’amore di Cristo?
E fa un elenco.
Oggi diremmo: la crisi, il Covid, la mancanza di lavoro, una Chiesa poco entusiasta, che imbalsama invece di custodire e donare…
Nulla. Nulla ci può separare, nemmeno noi stessi. Nemmeno le nostre fragilità. Nemmeno gli sbagli, nemmeno questo tempo che sembra scordare l’essenziale.
L’altro pane
Matteo, nel raccontare il gesto di Gesù, allude chiaramente all’eucarestia della comunità.
Troviamo la forza per metterci in gioco, per condividere quel poco che siamo solo e a condizione di attingere al gesto straordinario di Gesù che, lui per primo diventa cibo.
L’eucarestia diventa forza e modello del nostro agire.
Aspettiamo il momento in cui, in pienezza, potremo tornare a celebrare il risorto, ad abbracciarci, a guardarci senza maschere. Lo aspettiamo come si aspetta l’aurora di un giorno nuovo.
Nulla ci separa dall’amore di Cristo.
Perciò possiamo farci pane spezzato.