L’episodio della moltiplicazione dei pani è riportato ben sei volte nei Vangeli (due in Matteo e Marco e una rispettivamente in Luca e Giovanni). Evidentemente aveva molto colpito la comunità dei primi discepoli, tanto da far parte di quelle poche pagine evangeliche comuni ai quattro evangelisti.
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Qual è la portata di questa domanda che Cristo mette sulle nostre labbra, perché la rivolgiamo al Padre?
– L’uomo è un essere bisognoso e temporale. Nulla possiede di proprio. Come non ha la vita da se stesso, così non può da solo procurarsi il cibo necessario. È in perpetua ricerca degli alimenti che sazino la sua fame: la fame del corpo, la fame dell’anima, dell’intelligenza, del cuore. Ogni tipo di vita che c’è in lui ha bisogno del nutrimento appropriato.
– L’uomo ha bisogno di Dio. Da Dio viene ogni vita, dalla sua mano ogni nutrimento. E prima di tutto il pane: Dio ha messo tutto l’universo a disposizione dell’uomo perché ne tragga sussistenza. È Dio che feconda la terra e fa spuntare il grano. È anche il pane dell’intelligenza, che si chiama verità; il pane del cuore, che si chiama amore, affetto, amicizia; il pane dell’anima, che è la sua parola e la sua eucaristia.
– L’uomo ha bisogno degli altri. Dio è amore, e ha voluto che tutto sia opera d’amore. Perciò ha fatto gli uomini dipendenti gli uni dagli altri. E questo si verifica in tutti i campi: la famiglia, la scuola, il quartiere, la chiesa, ecc. Che cosa farebbe un uomo da solo? Non ci si pensa abbastanza! Ognuno che lavora, lavora per i suoi fratelli, ed egli stesso approfitta del lavoro degli altri. Di qui il senso di fraternità, di riconoscenza, di generosità e di benevolenza che tutti dovremmo avere e che il vangelo cerca di inculcare e di sviluppare.
Quelle pagine sintetizzano la missione stessa di Gesù. Gesù vede davanti a sé tutta quella folla. È gente affannata, esausta per la fatica e soprattutto in cerca di qualcuno che si prenda cura di loro.
Il cuore di Gesù non resiste alla commozione: guarisce prima i malati e poi si mette a parlare con loro. Fino a sera. E tutti stanno a sentirlo. Quella folla non era anzitutto priva di pane, bensì di parole vere sulla propria vita. Per questo si è fermata tutto il giorno ad ascoltare Gesù. Davvero “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Tuttavia, il Signore sa bene che l’uomo vive anche di pane, sta scritto infatti: “Per la vostra vita non vi affannate di quello che mangerete o berrete… cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 25-34).
Cinque pani e due pesci: la debolezza nelle mani di Gesù. Il miracolo inizia proprio qui: dalla debolezza messa con fiducia nelle mani del Signore. Così avviene la moltiplicazione. La povertà diventa abbondanza.
Molte volte i miracoli sono bloccati dall’avarizia. Tanta gente resta affamata e muore, non per la mancanza il cibo, ma perché viene sprecato o distrutto per interesse. Il miracolo è operato dal Signore, ma non senza l’aiuto dei discepoli. Il Signore ha bisogno delle nostre mani, anche se deboli, delle nostre risorse, anche se modeste. Egli rende forte la nostra debolezza e ricca la nostra povertà. È anche questo il senso delle dodici ceste avanzate: ad ogni discepolo, ad ognuno dei dodici.
Quando noi veniamo in chiesa e riceviamo il pane Eucaristico: quel pane è ricco in proporzione di quello che noi abbiamo portato (non importa se poco) e consegnato a Gesù.
Il poco che noi portiamo diventa la nostra ricchezza, che ci sfama e ci nutre, nell’Eucaristia, e diventa ricchezza anche per i fratelli che partecipano alla nostra Eucaristia.
Maria, nostra Madre, non può restare inattiva se ci vede affamati di Gesù; ma ci lascia in balia della nostra superbia se ci vede sazi delle cose nostre o del mondo.
Fonte: consolata.org