don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 22 Luglio 2020

LA VOCE DELL’AMATO RISORTO E VITTORIOSO SUL PECCATO CI RIDONA LA DIGNITA’ E LA BELLEZZE PERDUTE

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“Maria!”. E’ bastato ascoltare il suo nome, e tutto è cambiato. L’amore di Gesù, già sperimentato tante volte, in quel momento, il più importante di tutta la sua vita, era tutto per lei, come se, per Lui, fosse l’unica persona al mondo. Si è sentita di nuovo importante, e per questo era risorta con Lui. In quel sepolcro, infatti, era scesa anche lei. Per questo vi si era recata “di buon mattino, quando era ancora buio”. Non resisteva in casa, aveva aspettato che finisse il sabato e poi via, di corsa, verso quel pezzo di lei che Gesù era diventato e che il sepolcro aveva inghiottito. La sua vita, i suoi desideri, le speranze, i progetti, tutto era precipitato in quell’anfratto di roccia.

Per Maria la vita s’era fermata allo spirare di Gesù, “il mio Signore”. E ora era giunta all’unico luogo a cui sembra essere destinata ogni carne; e Gesù era stato carne e ossa, parole e sguardi, fame e sete come lei, come tutti. L’aveva visto deporre nella tomba, non c’era altro posto dove andare. Ma era successo qualcosa di imprevedibile: arriva e “vede che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro”; certamente qualcuno aveva “portato via il Signore dal sepolcro, e non sapeva dove lo avevano posto!”. Maria aveva perduto l’unico luogo che ancora dava senso alla sua vita. Non aveva più “dove” andare, anche l’ultimo appiglio le era stato sottratto: con Lui era svanita anche lei.

Per questo, anche se i due apostoli entrano nella tomba vuota e Giovanni vede e crede, mentre essi se ne vanno, Maria rimane incollata dinanzi a quella tomba vuota, “piangendo”. Piange perché è una donna a cui hanno portato via lo Sposo, il Signore della sua vita. “Donna”, così l’hanno chiamata gli angeli, così le si rivolge Gesù iniziando a dialogare con lei. Una “donna”, innamorata e perduta. Solo le donne possono capire… Gli uomini arrivano sempre dopo, entrano, vedono, credono, ma se ne vanno. C’è una fretta in loro che li spinge sulla cresta della realtà. Le donne no, quando amano aprono se stesse per accogliere l’amato nella propria carne e nella propria anima. Hanno una sensibilità e una profondità sconosciute agli uomini, un amore materno che abbraccia e si lascia fecondare, riuscendo così a sperimentare l’unione con lo sposo a un livello ben più concreto ed esistenziale. L’uomo può staccarsi dalla donna e continuare la propria vita, magari sazio di piacere. La donna invece, accogliendone il seme di vita, resta unita alla parte più preziosa del suo uomo. Anche se se ne allontana, porta nelle sue viscere la carne del suo sposo, fatta ormai carne della propria carne. C’è una vita che palpita in lei, un frammento di lui che le è impossibile dimenticare; nel frutto del loro amore è legata a lui per sempre. Così Maria di Magdala con Gesù. L’aveva incontrato nel suo momento peggiore, mentre sette demoni le stavano lacerando cuore e anima. La sua carne stava per essere fatta a brandelli dalle pietre. E Gesù era apparso lì, con un amore di cui nessuna carne era capace; una misericordia che compiva il cuore della Legge secondo la quale sarebbe dovuta morire. Era un “rabbunì” diverso da tutti gli altri, un uomo speciale, l’unico che l’aveva amata davvero, un peccato dopo l’altro, scacciando un demonio dopo l’altro. E lei lo aveva accolto, e Lui aveva deposto nella sua carne e nel suo cuore il seme di Vita Eterna che l’aveva riportata alla dignità, alla pace, alla gioia. L’aveva liberata trasformando la sua libertà piegata verso il peccato in amore. Per questo era rimasta sulla soglia di quella tomba vuota.

Aveva in sé un pezzo di Lui, e le gridava dentro graffiandole il cuore di nostalgia. Le sarebbe bastato restare in ginocchio dinanzi alla “pietra”, il limite imposto dalla violenza e dalla morte, sapendo che però quell’amato che l’aveva amata come nessuno era lì dietro. Esangue, diafano, privo di vita certo, ma quella bocca che le aveva sussurrato l’amore era lì; quegli occhi che l’avevano guardata con tenerezza infinita; quelle mani che l’avevano rialzata dai suoi peccati; quei piedi che l’avevano cercata. Gesù era comunque lì dentro, e lei era con Lui, perché Lui era rimasto in lei nell’amore che l’aveva riscattata. Troppo grande il dolore, troppo forte la paura di restare sola, per immaginare l’impossibile. Per questo il dolore s’era moltiplicato scendendole sulle guance in un fiume di lacrime. Le “avevano portato via” l’unica ancora per la sua memoria. “Piange”, infatti, non solo la morte del suo amato, ma anche e soprattutto perché glielo hanno “portato via”, e non sa dov’è. Questo era insopportabile, un dolore più acuto della stessa morte di Gesù. Maria aveva bisogno di quel corpo, era Gesù accidenti, era il suo amore, la sua vita. E’ disposta ad “andare a prenderlo” per riportarlo alla sua tomba. C’è qualcosa di molto profondo in queste parole che Maria rivolge a Gesù mentre ancora lo crede il “custode del giardino”. Perché non le basta sapere “dove è stato posto”? Sarebbe potuta andare a piangerlo là. E invece no, lo vuole “prendere” e riportare in quella tomba. Ebbene, in questa volontà vi è nascosta tutta la sua storia. Lo aveva seguito sulla via della croce, lo aveva contemplato crocifisso, lo aveva pianto insieme a sua Madre; infine, lo aveva visto deporre in quella tomba. E tutto questo era accaduto a Gesù per l’infinito amore con il quale aveva amato l’umanità, e quindi anche lei.

Quella tomba era, dunque, il tempio che custodiva la memoria di quell’amore. Voleva la tomba di Gesù, perché essa era anche la sua, il segno rimastole di quell’amore sino alla fine che l’aveva salvata. Lo abbiamo visto, vi era scesa con Lui, le era familiare, come il talamo dove s’erano consumate le loro mistiche nozze. Non ne voleva un’altra, non apparteneva al suo Amato, non apparteneva a lei. E per questo “piangeva” non un “chi”, come le aveva chiesto il Signore. Piuttosto “piangeva” un passato troppo bello e sfuggito via. In una parola: come tutti noi alla morte di una persona cara, piangeva soprattutto se stessa, quella parte di lei così legata all’Amato da essere morta con Lui. “Piangeva” il fallimento che ha spezzato sul più bello la sua storia di riscatto e libertà. Ma quelle lacrime segnano per lei l’inizio di un cammino nuovo, non più verso la carne del Signore da “prendere” e possedere, seppure in una tomba; ma verso i suoi fratelli, i discepoli, e, attraverso di loro, verso il mondo, sino a dimenticare se stessa nell’amore nuovo e straripante che spinge a non vivere più per se stessi.

Maria si sente chiamare, ed è resurrezione: “Maria!”, ed è una creatura nuova. Quel nome dava finalmente un nome a Colui che stava parlando con lei. L’amore sprigionato da quella parola le ha dischiuso gli occhi del cuore e della carne: no, non era il “guardiano del giardino”, ma Gesù. Era dunque risorto, era vivo, il sepolcro non è riuscito a trattenere la forza dirompente del suo amore. Era tutto vero quello che aveva sperimentato, e ora era diventato eterno. Sì, non finisce l’amore, non si spegne la misericordia; l’opera di Dio non conosce epilogo, zampilla sino alla vita eterna. Il suo nome era stato pronunciato proprio lì, dinanzi al luogo dove aveva creduto di dover spegnere la sua vita sotto una pioggia di lacrime. Nessuno le aveva portato via il Signore! Solo, non era più come prima. Quel “giardino” era immagine di quello che tutti abbiamo perduto a causa del peccato; e Maria era la nostra vita sperduta lontano dall’identità originaria. Senza Cristo, come ogni uomo che si è separato da Dio. Ma quel “Maria!” era la nuova creazione che la destava a una vita ancor più bella. “Sia la luce, e la luce fu”… “Maria!”, e “Maria fu!”… Quella voce veniva da oltre la pietra, da molto più in là del sepolcro; veniva dal Cielo; per questo il suo nome spandeva una fragranza nuova, che sapeva di libertà. Cristo risorto le consegnava la sua vittoria, la attirava nel suo passaggio al Padre, le spalancava il “giardino” perduto. Ecco la notizia che investe e trasforma Maria. In quel nome pronunciato vibra l’amore nuovo, più forte della morte. L’amore che è uscito vittorioso da quella tomba, spostando la pietra sulla quale avrebbe voluto piangere la disfatta. Cristo è risorto!

Non è lì dentro, non è lo stesso di prima, ha varcato la soglia della morte, del peccato, della carne. E’ Lui, è il Signore, ma viene dal Cielo, vivo della vita celeste, una vita che Maria non aveva ancora conosciuto. E’ la risurrezione che appare oggi anche davanti a noi, come agli occhi di Maria quel mattino di Pasqua. E’ qualcosa di totalmente nuovo, che dobbiamo imparare a conoscere. Si schiude per noi il cammino della Maddalena. Quante volte ci hanno annunziato la resurrezione del Signore, e non abbiamo compreso… Ma abbiamo iniziato a credere e il Signore s’è fatto nostro compagno. Ci ha parlato, ci ha infiammato il cuore, come ai discepoli di Emmaus, ma eravamo ancora piegati sulla nostra carne, sulla storia che ci pesava, le ferite, il male, il dolore. E quel senso di vuoto che neanche l’amore di nostra madre, del marito, dei figli ha mai potuto colmare. Quel vuoto duro e immobile come la pietra del sepolcro, sulla quale ci siamo abituati a piangere. Non abbiamo compreso, ci mancava l’esperienza decisiva. Chi non ha mai sentito il suo nome pronunciato dal Gesù risorto come Maria non può essere cristiano. Quante volte abbiamo tentato di riprenderci il Signore e rimetterlo nella tomba della nostra abitudine al fallimento; quante volte abbiamo pianto lacrime acide di cinismo.

Forse anche oggi, di fronte alla tomba nella quale è chiuso il nostro matrimonio, o quella relazione; o forse di fronte all’incapacità di governare le nostre pulsioni, gli eccessi depressivi del carattere, le parole che ci sfuggono dalle labbra e combinano macelli. Sicuramente anche oggi stiamo piangendo di fronte all’ennesimo peccato, sempre lo stesso, che ci umilia e ci frustra, rubandoci la speranza. Ma oggi la sua chiamata, il nostro nome pronunciato dalle sue labbra in modo così unico, ci apre gli occhi e il cuore ad una possibilità impensabile. Solo il suo amore per te e per me così come siamo può metterci in cammino, come Maria. Sì, perché le mancava ancora un passo, decisivo. Doveva imparare a conoscere Cristo non più secondo la carne, ma secondo la nuova dimensione celeste nella quale era venuta a cercarla. Doveva camminare ascoltando la sua voce chiamarla per nome per attirarla al di là dell’affetto umano. Doveva vivere con Cristo la Pasqua. Lo avrebbe voluto “trattenere”, come noi. Vivo sì, ma per la nostra vita, per sistemare i nostri cuori, le nostre menti: “Un’ultima soglia deve essere varcata, la più importante di tutte: quella che permetterà a maria di elevarsi dall’attaccamento al sensibile al livello della fede. Di non volgersi più verso il passato ma verso l’avvenire…. Ma bisogna che Gesù stesso le comunichi il messaggio pasquale: “Io salgo verso il Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (De La Potterie).

Il luogo dove siamo chiamati con Maria Maddalena è dunque il Cielo, dove arrivare con un cammino che ci conduca dalla carne allo Spirito; e in esso imparare a “non trattenere” il Signore, per vivere ogni rapporto nella totale libertà che è frutto della novità di vita dettata dalla Spirito Santo. Oggi il Signore ci chiama a vivere dimentichi del passato e protesi verso il futuro; le cose vecchie ormai passate, non ritorniamo a rimescolare la stanca minestra dei dubbi, delle debolezze, dei fallimenti. Chi ha conosciuto l’amore di Cristo non potrà più vivere senza il suo amore. Chi ha sperimentato la sua resurrezione sarà naturalmente rimbalzato verso i “fratelli di Gesù”. Ecco la vita che Dio aveva preparato per Maria e per ciascuno di noi: andare, senza posa, a ogni fratello di Gesù perduto nel mondo, per annunciare l’unica notizia capace di cambiare l’esistenza: Cristo è risorto, è salito al Padre suo e Padre di ogni uomo!

Esiste il Cielo, nessuno è orfano. Non ci sono più tombe dove versare lacrime, ma spazi infiniti dove correre ad annunciare il vangelo. Tu ed io saremo, come la Maddalena, gambe e mani, sguardi e voce prestate a Cristo risorto: non importano i peccati commessi, da oggi, la nostra vita riscattata e libera, perduta per amore oltre la morte, camminerà nella Chiesa per dare ovunque al Signore una voce umana per chiamare con il suo amore il nome di ogni suo fratello.


AUTORE: don Antonello Iapicca
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