È facile ridurre l’esistere a criteri come permesso/proibito. Molto più difficile discernere ciò che è necessario compiere in una determinata circostanza senza restare irretiti nelle maglie asfittiche di una norma che mette a repentaglio lo stesso esistere perché osservata come fine a se stessa.
È facile stare nella vita commentando, osservando, usando addirittura la nostra fede e la stessa Parola di Dio per sostenere le nostre critiche e una visione angusta e legalista della realtà.
La norma dell’osservanza del sabato era stata data non già per creare un comportamento esteriore quanto per custodire la relazione con il Signore che sollecitava l’uomo ad essere signore e non schiavo dell’opera delle sue mani.
La libertà con cui i discepoli si sono nutriti del grano passando nel campo dice che il rapporto con Dio è motivo di vita e non occasione di morte.
Dio vuole una sola cosa, la misericordia: stare nella vita non pareggiando i conti (a tanto, tanto) ma andando oltre il giusto e il dovuto. Amare oltre ogni giustizia.
Gesù ci guarda in faccia e ci chiede di ridare il nome giusto alle cose: la paura ci governa e perciò costruiamo regole per salvarci attribuendole alla volontà di Dio. Mentre, sembra dire Gesù, l’unico dato che ci dà accesso a Dio è proprio il non rimuovere la coscienza della nostra debolezza. Questo Dio che in Gesù entra nella nostra umanità ferita, vulnerabile, debole, indica nel peccato l’uomo da trovare, nella morte la vita da accogliere, nell’impuro il prossimo da recuperare.
‘Se aveste compreso…’. C’è in queste parole di Gesù tutto il rammarico per l’indisponibilità a capire da parte dei suoi interlocutori ciò che viene prima. C’è una Legge da capire ancora e c’è una volontà di Dio da osservare con tutto il cuore. Paradossalmente, i farisei pretendono di insegnare, ma finiscono per disattendere quanto risultava scomodo rispetto ai loro schemi. Non hanno capito che quando ne va dell’uomo ne va di Dio.
AUTORE: don Antonio Savone
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