Il commento al Vangelo di domenica 19 Luglio 2020 – Anno A, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.
Keep calm!
Se Gesù è venuto a inaugurare il Regno, perché il male sembra prevalere?
Perché l’uomo continua, imperterrito, a rifiutare l’opera di Dio? Mistificandola, manipolandola, stravolgendola? Perché sperimentiamo, in noi e attorno a noi, l’intreccio inestricabile fra luce e tenebre? Dov’è, dunque, la salvezza portata dal Maestro?
Sono alcune delle domande che una comunità composta da giudeo-cristiani, traumatizzata dalla distruzione del tempio, pone a Matteo, l’evangelista, lo scriba divenuto discepolo. Lui, che ha conosciuto il Signore, si accinge a rispondere, traendo dal suo tesoro cose antiche e cose nuove, riportando nel suo Vangelo una delle parabola raccolte dalle labbra del Maestro.
Sono domande che riecheggiano ancora oggi, in questo di tempo di grazia, non di disgrazia, in cui Dio fa nuove tutte le cose, seminando il seme della Parola che attecchisce nel cuore di chi cerca verità e pienezza.
Il cuore della parabola di oggi è molto semplice: nella nostra vita il bene e il male crescono insieme in un intreccio che l’uomo non deve districare, lasciando a Dio di compiere tale opera nella pienezza dei tempi.
È l’esperienza che facciamo tutti, anche dopo avere iniziato un percorso di fede, anche dopo una conversione che ci ha fatto cambiare vita. Pensiamo di essere cambiati, invece l’uomo vecchio di cui pensavamo di esserci sbarazzati, simpaticone, d’ogni tanto emerge e fa capolino nella nostra vita, facendo qualche danno e, soprattutto, gettandoci nello sconforto (Ef 4,22).
In particolare all’inizio del cammino di fede, i neofiti sono piuttosto convinti di essere cambiati, di avere superato la parte oscura. Magari raccontano in giro la loro inattesa conversione (in certi ambienti è diventato quasi un genere letterario!). Accogliere nella propria vita il Dio di Gesù cambia radicalmente il modo di vedere, di sentire, di operare, ci si sente e si è, in effetti, persone radicalmente diverse. Ed è proprio così che accade, davvero c’è un prima e un dopo l’incontro con Gesù.
Ma, come dicevamo più sopra, la conversione non è che l’inizio di un lungo cammino che richiede un’enorme pazienza.
La pazienza di Dio.
Un nemico
Un tale semina del grano buono nel campo ma, durante la notte, viene il suo nemico e semina della zizzania, un’erba infestante molto simile al grano, ma che produce un chicco scuro, non commestibile e che, soprattutto, intreccia le sue radici con il grano.
Episodio plausibile: c’è sempre qualcuno che vuole distruggere il lavoro degli altri, con le buone o con le cattive maniere. Bisogna essere realisti: ci sono persone che agiscono per danneggiare gli altri, sperando di ricavarne un vantaggio o credendo di vendicare un torto subito. Anche fra i credenti, anche nella Chiesa.
In questo caso il sabotaggio è davvero malefico: ci si accorge del danno solo quando la pianta, all’inizio indistinguibile, si avvicina alla maturazione del frutto.
Un brutto episodio che fa entrare in scena i servi, addolorati e straniti dall’inquietante episodio.
Il punto di forza della parabola consiste proprio nel dialogo che segue l’episodio.
Al dolente stupore dei servi che chiedono al padrone per quale ragione il campo sia invaso dalla zizzania segue la meraviglia per l’ordine impartito dallo stesso: non devono strappare la zizzania, devono lasciare che cresca insieme al buon grano fino a quando la maturazione del frutto permetterà di riconoscere il grano con certezza, impedendo di strappare qualche spiga per errore.
Stupore motivato: di solito le erbacce nei campi si toglievano ben prima di iniziare il raccolto.
Ma anche sconcerto: la risposta argomentata e saggia del padrone ha, per noi che ascoltiamo, per la comunità di Matteo, per ogni comunità di cristiani, delle conseguenze imprevedibili.
Se Gesù è venuto a salvare il mondo, dov’è questa salvezza?
Non esiste una risposta puntuale ed esaustiva.
Almeno non quella che vorremmo.
Ci sconcerta l’agire di Dio. E la sua pazienza. E la sua logica. Davvero avvertiamo un’abissale distanza fra i suoi ragionamenti e i nostri, fra la sua logica e la nostra (Is 55,8).
Lasciate!
La risposta del padrone è destabilizzante, certo. Ma anche saggia e lungimirante.
Davanti allo zelo dei servi che vorrebbero, come sembra logico, strappare la zizzania, Dio invita ad aspettare, a pazientare. E ne spiega la ragione: strappando anzitempo la zizzania, molto simile al grano all’inizio della sua crescita, si potrebbe erroneamente strappare qualche spiga.
Dal nostro punto di vista è un danno collaterale: cosa volete che sia qualche spiga al cospetto dell’intero raccolto salvato?
Il punto di vista di Dio, al solito, è diverso. Deriva dalla sua ossessiva attenzione alla pecora smarrita (Lc 15,6), all’uno che diventa unico, al marginale che viene messo nel mezzo (Mc 3,3).
La soluzione c’è: pazientare per vedere il frutto, per poterlo distinguere. E, a questo punto, intervenire tagliando entrambi, grano e zizzania e separandoli. L’uno nel fuoco, l’altro nel granaio.
Il padrone non nega la necessità della separazione. Dice solo che non è ancora il tempo e che non spetta agli uomini decidere quando sia il momento.
La pazienza è necessaria perché noi uomini non siamo in grado di compiere la cernita. E perché è Dio ad avere stabilito l’ora della separazione, non noi.
Pazienza
Non siamo in grado di operare correttamente la cernita, non scherziamo.
Grossolani come siamo, e anche un po’ autoreferenziali, noi uomini corriamo il rischio d giudicare gli altri dal nostro punto di vista, appellandoci a convinzioni profonde, radicate che, se esasperate, diventano ideologia, cioè idea assurta a dogma intangibile, cui vanno sacrificate anche le vite umane. E poco importa se queste idee siano ispirate a Dio, anzi, peggio. Nella Storia noi cristiani abbiamo compiuto degli abomini, facendo l’esatto contrario di ciò che insegnava il vangelo… appellandoci al vangelo! Ci vogliono, invece, un po’ di buon senso e di sana prudenza, al fine di moderare lo zelo della distruzione e della soluzione finale che tutti portiamo nel cuore, pugnaci come siamo nel profondo.
È Dio ad avere stabilito l’ora della separazione.
E ne intuiamo le ragioni: solo dal frutto riusciamo a cogliere la bontà della pianta (Mt 7,16). Se una spiga è buon grano o zizzania lo capiamo solo quando vediamo il frutto gonfiare lo stelo.
L’apparenza inganna, e Dio lo sa bene.
Persone che sembrano lontane da Dio, travolte dall’ombra, impestate, possono cambiare, convertirsi, fare buon frutto. Perciò i cristiani, inguaribili ottimisti, cocciuti nella speranza, pensano sempre che una persona possa cambiare in meglio. E come tali dovrebbero agire.
Gesù chiede di pazientare perché sa bene che il cuore dell’uomo può cambiare.
Addirittura il nostro.