Possiamo avere almeno tre atteggiamenti dinanzi a questo vangelo. Il primo è guardarlo come un testo estraneo a noi e alla nostra situazione. In fondo Gesù sta parlando di città che sono lontane da noi sia nel tempo sia nello spazio, luoghi dove non siamo mai stati.
Facendo così, non permettiamo alla parola di Dio di penentrare fino alle profondità inscrutabili della nostra anima. Rimaniamo sulla superficie, spettatori indifferenti che non sperimentano la differenza che potrebbe fare la parola di Dio nella nostra vita. Il secondo atteggiamento è quello dell’identificazione con queste città sorbendo il rimprovero di Gesù e bevendo i guai che annuncia.
Certo, rispetto al primo atteggiamento, questo sembra meno alienato. In realtà, non differisce di molto. Perché? Perché il senso di colpa è comunque alienante. Il senso di colpa ti blocca, ti fa concentrare su te stesso. Non ti porta alla coscienza di fede, ma alla coscienza dell’errore. Non ti fa vedere il Volto di Dio, ma i tuoi strafalcioni. Qual è il terzo atteggiamento allora? È un atteggiamento di riconoscimento e di riconoscenza. Riconoscere quanto il Signore ha fatto per me.
Riconoscere la sua presenza, la sua grazia. Contare le mie benedizioni, raccogliendo anche le briciole. E tramite questo riconoscimento aprirmi a un senso di riconoscenza che, a differenza del senso di colpa, è liberante. In fondo, nei guai enunciati, Gesù non vuole la morte delle città peccatrici, ma che si converta o e vivano. Accogliamo allora questo messaggio di speranza e di vita anche da pagine così. A parlarci è il Dio della vita che ci vuole donare la sua vita.
Fonte: il sito di Robert Cheaib oppure il suo canale Telegram
Docente di Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e l’Università Cattolica del Sacro Cuore.