don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 6 Luglio 2020

Un unico grande bisogno di vita attraversa l’esistenza di tutti noi, anche se ciascuno di noi lo esprime con linguaggi diversi. Il capo supplica, parla, si inginocchia, si getta a terra davanti a Gesù. La donna, invece, usa il linguaggio del corpo, se parla lo fa solo tra sé e sé. Anche se diverso il linguaggio, comune è la confessione di impotenza. C’è una soglia, rappresentata dalla malattia e dalla morte, oltre la quale non è dato andare: Perché disturbi ancora il maestro? è detto nel vangelo di Mc

Vorrei accostare la pagina del vangelo a partire dalla figura del padre di cui parla il brano. Ciascuno di noi rappresenta quella fanciulla perché ciascuno di noi porta qualcosa di morto dentro di sé. L’esperienza che ci accingiamo a vivere è proprio l’occasione per prenderne coscienza.

Ciò che talvolta rappresenta la nostra possibilità di riprendere a vivere è avere un padre accanto a noi, un fratello, non importa il suo nome, che intercede e addirittura – stando alla versione di Mc – importuna il Maestro per te. Come a dire che nessuno di noi è morto per sempre, se un fratello si fa carico della nostra porzione di morte.

“La fanciulla non è morta, ma dorme”.

La fanciulla che dorme in ciascuno di noi è la speranza, che, come  diceva Peguy, è la virtù bambina. Mi pare allora un invito ad assumere lo sguardo di Dio sulle nostre situazioni, uno sguardo che vede oltre: la tua vita non è morta, ma è piombata in una specie di sonno che le impedisce di accorgersi di ciò che le sta capitando.

La tua volontà di impegno non è morta, è solo addormentata.

La tua capacità di amare non è morta, è solo impedita da qualcosa che come un peso le impedisce di sciogliersi.

La tua disponibilità a riprendere a camminare con più gioia non è morta, ha soltanto subito qualche blocco che fa da ostacolo.

La tua fedeltà a quanto promesso al Signore non è morta, ha soltanto subito qualche incidente di percorso che tuttavia non è l’ultima parola.

La tua capacità di guardare oltre non è morta, ha soltanto subito il fascino di qualcosa che se dapprima può aver sedotto, poi ha finito per cristallizzare momenti e situazioni.

La tua capacità di fidarti non è morta, è stata piuttosto raggelata da qualche esperienza che ha corso il rischio di essere stata assolutizzata.

Mi piace pensare ai nostri rapporti, alle nostre relazioni fraterne come luoghi nei quali ciascuno di noi può ridestare la speranza nell’altro. Non dimentichiamo che nella versione di Mc, la possibilità perché la fanciulla venga ridestata è la fede del padre: “Soltanto, abbi fede”.

Mi pare analoga la situazione di Giacobbe. Egli è lontano da casa tre giorni di viaggio, ha rotto con il fratello e perciò con la sua famiglia di origine, non ha più la protezione della madre. È un uomo i cui legami più veri, quelli che costituiscono la sua identità, sono stati dolorosamente colpiti. E la sua situazione morale non gioca certo a suo favore dal momento che ha carpito l’eredità del fratello con un imbroglio.

Eppure, in quella che potrebbe apparire una vera e propria situazione di morte, Giacobbe vede “una scala che poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa” (Gn 28,12). Cosa c’è dietro questo simbolo? Che qualcuno si sta prendendo cura di lui. La mia storia – persino la mia morte – sta a cuore a Dio.

Là dove penseremmo di essere privi di riferimenti precisi, c’è un Dio che ha cura di noi. La vita, la nostra, non è nel segno di una maledizione, ma di un Dio che segue con amore persino il nostro vagare.


AUTORE: don Antonio Savone
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