Gesù ci rassicura: «Vi darò ristoro»
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). A chi si rivolge Gesù? Di quali stanchezze e oppressioni sta parlando? Egli parla a quelli che sono stanchi di essere scontenti e insoddisfatti; stanchi del lavoro che hanno, o del lavoro che non hanno; stanchi del coniuge, del fidanzato/a o del compagno/a che hanno, a quelli stanchi di non averlo/a; a chi è stanco di essere deluso dagli altri o di deludere gli altri; stanco di essere tradito o di tradire; di sopportare i limiti degli altri o i propri limiti; agli stanchi di confidare sempre in ciò che puntualmente delude, oppure di avere una salute cagionevole; stanchi di non poter riabbracciare chi non c’è più o di dover abbracciare chi c’è sempre e comunque; Gesù parla a chi è stanco di quelle relazioni che lasciano sempre più il vuoto e a chi è stanco di passare da un talamo all’altro, come la samaritana; a chi è stanco di vedere che i soldi non bastano mai, di vedere che tutto va sempre male; a chi è stanco dei propri vizi che incatenano a una penosa schiavitù, del proprio caratteraccio che rovina sempre tutto; a chi è stanco di percorrere sistematicamente binari morti… a chi è stanco di vivere. Gesù si rivolge a loro e alle tantissime altre stanchezze e oppressioni impossibili da elencare tutte.
«Non confidate nei potenti, in un uomo che non può salvare» si legge nel salmo 145; «Un cuore affranto e umiliato tu o Dio non disprezzi» nel salmo 50; «Io vi darò ristoro!». Gesù non afferma che risolverà i problemi, che le cose si sistemeranno, che andrà tutto bene; no, dice che Egli darà ristoro, che Egli è il ristoro.
Quando ci innamoriamo di qualcuno, in fondo, desideriamo una cosa sola: stare con la persona di cui siamo innamorati; due che si amano si dicono “io voglio stare con te”; e non importa cosa si faccia insieme, è sufficiente stare insieme mentre si affrontano le cose da fare, belle o brutte che siano. Perché anche affrontare le cose brutte, se lo si fa con chi si ama a fianco, è comunque bello.
La nostra mèta è questa: vivere l’eternità come sponsali senza fine con Dio, che è l’amore, l’unico in grado di saziare il nostro desiderio di amore che, insaziabile, vaga per le strade della vita in cerca di casa, ma non lo trova mai nella sua pienezza; niente al mondo ci dà il ristoro consono al desiderio di amore che ci portiamo dentro.
«Io vi darò ristoro»: solo Gesù può donarci questo ristoro, questa pace.
Noi cerchiamo soluzioni, lui ci offre se stesso: stare con lui per amarsi come si amano gli innamorati, che si nutrono di amore. E quando vivi nell’amore tutto è sempre nuovo, tutto è colmo di creatività, tutto è dinamico e ricco di frutti. Questa è l’eternità che ci aspetta: un’esistenza piena, in cui ci sarà molto da fare, perché l’amministratore fedele riceverà in gestione tutti gli averi del padrone (Lc 12,44).
Questa verità è nota solo ai piccoli (Mt 11,25), perché ai dotti e ai sapienti non c’è niente da rivelare, in quanto sanno già tutto. I piccoli sono coloro che, grazie al dono della sapienza – conferito dallo Spirito Santo – hanno una chiara percezione della propria piccolezza di fronte a Dio, il quale si compiace di donare tutto se stesso a chi accoglie suo figlio, Gesù il Cristo (Gv 1,12).
Solo con questa verità nel cuore la vita diventa un “dolce giogo”: “giogo” perché la vita è faticosa; ma dolce perché la presenza di Gesù di fianco a noi rende tutta l’avventura umana una grande anticamera del paradiso.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli