Meditando sul Vangelo della settimana scorsa, abbiamo fatto cenno, tra le varie riflessioni, al «chiasmo».
Molto curioso come anche il brano matteano di questa domenica ci offra l’occasione di scoprire un’altra figura retorica: lo «zeugma».
Questo termine, così oscuro alle nostre orecchie, in realtà ci appartiene frequentemente, ovvero lo usiamo quasi continuamente.
Usualmente l’esempio di scuola che viene fornito per spiegare lo «zeugma» è il versetto di Dante: «parlar e lagrimar vedrai insieme» (Inferno XXXIII, 9).
Il verbo «vedrai» è chiaramente congruo a «lagrimar»; ma non è coerente con «parlar», circa il quale si dovrebbe usare, o sottendere, il verbo «ascoltare/sentire».
Ma se questo esempio non bastasse a chiarire le idee su cosa sia lo «zeugma», si pensi alle espressioni comuni che costantemente usiamo, come ad esempio: «Io vado a destra; tu a sinistra», oppure «mangiare pane e acqua».
I verbi «vado» e «mangiare» reggono (coerentemente) tanto il primo membro dell’espressione, quanto (con estrema incongruenza) il secondo, per il quale si dovrebbe, invece, usare un’altra coniugazione, cioè «vai (a sinistra)», o addirittura un altro verbo, ovvero «bere (acqua)».
Orbene lo «zeugma» è figura retorica che consiste nel far dipendere da un solo termine due o più concetti, di cui uno solo è appropriato, creando una formale «stonatura» e «asimmetria» logico-sensoriale, che però scuote e conferisce vigoria alla sostanza dell’espressione.
Lo scopo dello zeugma, ovvero il suo utilizzo, quindi, è quello di ottenere effetti di particolare concentrazione espressiva, ovvero di trasmettere contenuti che si riescono pienamente a vivere e partecipare particolarmente attraverso l’impatto emotivo, il vigore del quale non riesce a rendersi con lineari elaborazioni linguistiche. – Bene inteso: «emotività» non significa «irrealtà».
Data questa premessa, eccoci, quindi, all’estratto evangelico che la Liturgia ci offre questa domenica.
Concentriamoci sugli ultimi 3 versetti.
1 – «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11, 28).
Riflettiamo, ora, tenendo a modello lo «zeugma».
Se sono «stanco e oppresso», come posso «andare»? Il «muoversi», infatti, è coerente, ovvero conseguente, casomai allo status di «ristoro», non a quello della fatica e della fiacchezza.
E andando al greco originale, è rilevante anche un’altra meditazione «zeugmatica».
Letteralmente il versetto andrebbe così reso: «Orsù verso me tutti gli accasciati a terra e gli appesantiti da carichi e io vi metterò in quiete sollevandovi in alto (anapaúso)».
Pensiamoci bene: ma non c’è forte stonatura di senso? Infatti: non è forse vero che «stare in quiete» è consono semmai con il «giacere a terra», e non con il «sollevarsi in alto»?
2 – «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11, 29).
Sulla stessa scia del punto precedente, anche tale versetto ci fa meditare: difatti, «giogo sulle spalle» è coerente casomai con «mite umiltà», ma non è relazionabile con «ristoro di vita».
E anche qui il greco originale rafforza l’incongruenza. Traduciamo letteralmente: «Afferrate il gioco mio su voi e imparate da me perché io sono amico amoroso (praǘs) e dal cuore basso fino a terra e troverete quiete sollevando in alto le vostre vite».
Ebbene: «amico amoroso» è coerente semmai con il «trovare quiete»; ma quando mai un amico che «aggioga» può dirsi «amoroso»?
3 – «Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11, 30).
In questo versetto, infine, l’incongruenza è immane e chiaramente manifesta.
Ma non è forse vero che la Croce, che è la bassezza più infima, al tempo stesso consiste in un’elevazione da terra? Non è forse vero che il Signore, che è eterno, ha eletto quale trono propriamente quella Croce in cui conobbe la morte? (Cf. Gv 8, 28; 12, 32).
Ebbene, quante volte ci capita di trovare difficoltà nell’approcciarci a Gesù Cristo. Quante volte le parole del Signore sono amare alle nostre orecchie, e la sua vita sembra tutta un’incoerenza: ma è Dio o è uomo? Ma se è Dio-Amore, perché non mi dà ristoro automaticamente, dato che Egli vede che soffro? Ma se è Dio, come fa a non capire che il giogo non è un sollievo, né una faccenda dolce, né una leggerezza?
Ecco, la nostra fede è un continuo «zeugma»; ma la nostra fede ha necessità di questa continua «incongruenza».
Infatti, se non ci fosse «incongruenza», a cosa varrebbe la nostra fiducia nel Signore? Se non ci fosse «zeugma», a che varrebbe la nostra condizione di esseri liberi?
Inoltre, la fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è esperienza che, oltre ad essere raccontata, va partecipata nel suo mistero: ed è per questo che non sono sufficienti le logiche dei «maestri» a trasmetterla, mentre può bastare il gesto, lo sguardo, persino il silenzio di un «testimone»: atti, questi ultimi, logicamente inesprimibili e incomprensibili, ma estremamente efficaci e debordanti.
La fede, infine, è un dono, il quale va chiesto superando, finanche sfidando, le raziocinanti incongruenze; va domandato al Signore, abbandonandosi a Gesù Cristo, lo «Zeugma» che morendo ci ha donato la vita eterna; Colui che, accogliendo compiutamente il fardello dello zugós (termine greco per «giogo»: zugós da cui l’italiano «zeugma»), non disdegna di farsi paio con noi, non rifiuta di aggiogarsi continuamente accanto a noi, affinché il nostro Golgota sia «leggero». Ma non perché Egli ce lo spiana; bensì perché Gesù Cristo ha vinto il Golgota solo e soltanto accogliendo il giogo; ha reso «dolce» il gusto della morte, consegnando il suo spirito nelle mani «zeugmatiche» del Padre, incongruenti per la ragione, ma logiche per la Salvezza: mani che hanno scritto tanto la prima parte del salmo («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» – Cf. Sal 22, 2-22), quant’anche quella compiuta: «Tu mi hai risposto!» (Sal 22, 22-32).
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.