C’è qualcosa di ingombrante nell’occhio che ci impedisce di vedere bene: con la vista offuscata, un po’ alla cieca, sentiamo comunque il bisogno di guardare alla cecità dell’altro, ai suoi difetti di vista, come se l’unica prospettiva giusta fosse la nostra.
Sul piano sociale, succede spessissimo, (e lo stiamo vedendo particolarmente in questi giorni): razzismo, omofobia, sfruttamento, discriminazioni: tutte ingiustizie che, se abbiamo il privilegio di non subire in prima persona, tendiamo a ignorare, o su cui sentiamo la necessità di affermare subito il nostro punto di vista e il nostro giudizio, prima di ascoltare l’esperienza dell’altro.
Succede anche con noi stessi: con la nostra storia, le nostre scelte, le nostre relazioni. La paura di misurarci con le difficoltà che abbiamo, di affrontare le situazioni che ci fanno stare male o ci mettono a disagio, ci spinge spesso a giudicarci e giudicare senza prima guardare veramente quello che sentiamo o proviamo. Ancora prima di aver guardato, sentito, ascoltato, siamo pronti ad ergerci a giudici, a dividere il mondo in buoni e cattivi, in giusto e sbagliato. Sul momento, questo ci fa stare bene: ci sentiamo dalla parte della giustizia, del buon senso, della ragione. Ma è un benessere effimero, che in realtà ci lascia solo più vulnerabili: giudicare crea divisioni e solitudine. Il giudizio che applichiamo agli altri, inoltre, è sempre pronto per ritorcersi contro di noi, mettendoci continuamente sotto accusa.
L’alternativa può nascere solo nel momento in cui sentiamo posato su di noi uno sguardo nuovo: uno sguardo che invece di giudicare, sia pronto a prendere la parola per noi, sia pronto a dire bene di noi; uno sguardo che si posi con amore sulle nostre incoerenze e che ci aiuti a togliere quella cosa fastidiosa che avevamo nell’occhio.
Togliersi la trave dall’occhio, in fondo, non significa far sparire magicamente tutte le fragilità che ci appartengono: significa solo riconoscerle e accoglierle, per avere occhi capaci di accogliere davvero l’altro, occhi capaci di guardarsi come fratelli e sorelle.
Rete Loyola (Bologna)
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato