All’origine della mia autostima
Non c’è peggior solitudine di chi non riesce a star bene con se stesso: “La mia vita è cambiata quando ho iniziato a credere in me stesso” dicono sovente i vincitori, divenuti tali dopo essere stati grandi perdenti. È sempre la solita storia: «Chi perde denaro perde molto; chi perde un amico perde molto di più; chi perde la fiducia in se stesso perde tutto» scrive E. Roosevelt. L’autostima è una forza motrice: il fatto è che, nella cialtroneria collettiva, spesso la si sposa con il narcisismo. La qual cosa è un’ingiustizia colossale: stimare se stesso per quello che si vale è il primo passo per imparare a stimare l’altro, senza voler diventare lui.
Volere diventare altri da ciò che si è, è la versione aggiornata dello spreco: non ho mai conosciuto nessuno che abbia avuto la forza di obbligarmi a sentirmi inferiore a lui senza prima avermi fatto firmare il consenso. “In fatto di autostima non sei secondo a nessuno” mi dice spesso la gente quando mostro d’avere un sistema antiscasso a protezione delle cose-ultime in cui credo. È una questione seria questa: posso sottovalutarmi senza, per questo, deludere il mio Dio?
Il Vangelo è il mio corso di autostima preferito e Cristo rimane il motivatore per eccellenza nei giorni funesti. Ripenso spesso a quei passeri: «Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà senza il volere del Padre vostro». C’è chi dice, dunque, ch’è Dio a far cadere i passeri, crollare i ponti, franare le valanghe, tracimare i fiumi: “Non si muove foglia che Dio non voglia!”, dice qualcuno non sapendo, forse, di bestemmiare. La libertà è dunque un giocattolo: è Dio a rendere colpevole qualcuno per poi condannarlo alla gattabuia della galera? La follia, certi giorni, prende casa anche sulla soglia di certe chiese!
Il fatto è all’opposto: non accade nulla, di tutto ciò che accade, che abbia il potere di accadere senza che Dio le sia appresso. Questo, però, è il contrario perfetto di ciò che dicono in giro: Dio non vuole la croce, ma sta sulla croce di chi sta morendo; non vuole nemmeno il male, ma sta appiccicato a chi del male è vittima. La cosa strana è che sta appiccicato addosso anche a chi, di quella mattanza, è il colpevole. Può tutto la libertà dell’uomo: può far nascere e procurare la morte, ferire e accarezzare, consolare e umiliare.
Tutto, eccetto costringere il Dio cristiano a fuggire di fronte alla responsabilità d’essere Lui il Padre-creatore di qualsiasi uomo, buono o cattivo che decida d’essere. Il motivo è presto detto, è Dio stesso in persona a dirlo, per evitare fraintendimenti: «Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri». È il cuore dell’autostima che non nuoce gravemente allo spirito, è il suo medicinale: “Io, per Dio, valgo di più di”. Più di quello che pensa la gente di me: il padre, la madre, il titolare dell’azienda, il vescovo, l’osteria, la parrucchiera, lo psichiatra. Per Dio il mio nome è Io-valgo-di-più-di: nessun nome più bello è mai uscito da labbra d’amante. Dio è pazzo.
Di me non Gli sfugge il più piccolo particolare: «Perfino i capelli del vostro capo sono contati. Non abbiate paura». Non è che Cristo inciti alla mancanza di rispetto verso gli altri, è che «alcune persone hanno così tanto rispetto per i propri superiori che non ne han più conservato per se stessi» (P. McArthur). Sto da Dio nel cuore di Dio: perchè preoccuparmi di ciò che gli altri pensano di me? A me interessa ciò che pensa Dio, il Padre dall’occhio velocissimo. Un giorno mi sono deciso che quando mi manca qualcosa, prima di chiederla ad altri, passo da me stesso a prenderla in prestito: Dio mi ha dato il necessario per imparare a stare in piedi da solo, perchè usare stampelle?
Io-valgo, me l’ha detto Lui e io, a Lui, ci credo così tanto che, se potessi, ruberei a Salvador Dalì una delle sue frasi più belle: «Ogni mattina mi sveglio e, guardandomi allo specchio, provo sempre lo stesso immenso piacere: quello di essere Salvador Dalì». Chi dice ch’è Narciso, lo fa solo perchè non calcola che per ogni uomo e donna è così. Non solo per me. Il fatto è che certi, a ciò che dice Dio, ci credono mentre altri lo sottovalutano.
Finendo col sottovalutarsi.
Commento a cura di don Marco Pozza
(Qui tutti i precedenti commenti al Vangelo di don Marco)
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