“Io sono mite e umile di cuore”
A volte mitezza e umiltà sono intese come atteggiamenti di debolezza in una società agguerrita e spregiudicata in cui sembra che solo chi è forte e cinico possa affermarsi. Ma prima ancora delle ricadute sociali di queste due virtù ci sono le ricadute interiori. Sai essere mite e umile verso te stesso? Spesso davanti alle nostre debolezze e fragilità ci innervosiamo, non ci accettiamo. Non amiamo riconoscerci peccatori e umani, non solo verso gli altri, ma nemmeno nell’intimo della nostra coscienza. Gesù invita ad imitarlo in queste due virtù che caratterizzano il suo cuore. Certamente Gesù non era peccatore, ma attraverso la mitezza sapeva cogliere in profondità le fragilità degli uomini e accoglierli, scusarli, amarli anche mentre lo crocifiggevano. La mitezza ti permette di saperti accogliere per quello che sei, di usare pazienza davanti alle tue ripetute cadute, di darti del tempo per comprendere le cause e le dinamiche che ti riportano sempre a compiere dei passi falsi e dolorosi per te e per gli altri. L’umiltà corrode l’orgogliosa presunzione di vedersi perfetti o quantomeno al di sopra degli altri. L’umiltà è accoglienza della propria miseria. Le virtù che denotano il cuore di Gesù prima ancora che essere virtù sociali sono virtù da esercitare verso se stessi.
In breve
L’umiltà e la mitezza verso di te ti salvano da un’idealizzazione troppo alta di te stesso e ti permettono di accogliere e integrare anche gli aspetti più abietti della tua umanità.
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Commento a cura di don Vincenzo Marinelli
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