p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 13 Giugno 2020

Dice Ben Sira nel libro del Siracide:

“25Le labbra degli stolti raccontano sciocchezze,
ma le parole dei prudenti sono pesate sulla bilancia.
26Il cuore degli stolti sta sulla loro bocca, mentre bocca dei saggi è il loro cuore.
27Quando un empio maledice l’avversario, maledice se stesso.
28Chi mormora diffama se stesso ed è detestato dal suo vicinato”.

Non possiamo avere il cuore sulla bocca, ma la bocca sul cuore, quello sì!

  Ci dice san Giacomo che la lingua è come il timone di una nave: piccola cosa rispetto alla nave, ma è lui che governa la nave. Può portare in porto oltre ogni burrasca oppure può distruggere ciò che è già in porto. Così non possiamo dimenticarci che la lingua è come una scintilla: può fare divampare un grande incendio.

  Il libro dei Proverbi dice che “20Con il frutto della bocca ci si sazia il ventre, ognuno si sazia con il prodotto delle sue labbra. 21Morte e vita sono in potere della lingua e chi ne fa buon uso ne mangerà i frutti” (18,21). Continua lo stesso libro dei Proverbi: “23Chi corregge un altro troverà alla fine più favore di chi ha una lingua adulatrice” (28, 23).

Tutto questo può fare la lingua. L’invito alla beatitudine rimane ancora impellente. Cosa è venuto a portare a compimento Gesù riguardo al giuramento, ci domandiamo? Il giuramento è chiamare Dio a testimone della veridicità del proprio dire. Spergiurare significa giurare in-vano, giurare nel nulla, invece che in Dio. È peccato perché si chiama colui-che-è a testimone di ciò-che-non-è! Dunque i giuramenti e le promesse in nome di Dio vanno mantenuti per non disonorare chi è chiamato a testimone.

Questa la legge antica. Il compimento che Gesù è venuto a portare è un compimento ancora una volta interiore: a cosa serve la lingua, è la domanda a cui dobbiamo rispondere. Perché noi usiamo la parola ogni volta che apriamo bocca? questa è l’altra domanda a cui dobbiamo rispondere. Cosa vogliamo raggiungere quando parliamo, ci dobbiamo continuamente domandare consci che ne uccide più la lingua che la spada.

Il compimento di beatitudine di tale comandamento è che il “nostro parlare sia sì sì, no no! il di più viene dal Maligno”. Perché il di più serve per velare non più per svelare. Quante parole si dicono per non affrontare i problemi, per girarci intorno, per non arrivare al dunque.

In mezzo vi può essere solo il non so, ma non come furbizia o come pigrizia, ma come impegno di ricerca della verità o silenzio di carità. Non possiamo avere il cuore sulla bocca come lo stolto, ma la bocca sul cuore come il saggio.

La beatitudine è donativa, l’infelicità è possessiva, anche grazie alla lingua. Infatti se la parola è comunicativa, vera e liberante, è divina, sapienziale, da beatitudine: ci unisce come fratelli e ci fa figli di Dio. Se la lingua è possessiva, menzognera e intesa a catturare, è diabolica: ci divide dagli altri e ci relega nelle tenebre della solitudine.

I mass-media usano la parola come trappola per accalappiare intelletto e volontà. L’uso perverso della parola è il male peggiore, proprio perché tende a togliere la capacità di intendere e di volere, vuole togliere la libertà. Senza libertà, sappiamo bene, non vi può essere amore, tantomeno beatitudine.

Sappiamo bene ormai che il Maligno è menzogna. La menzogna ha bisogno di molte parole per confondere e persuadere. L’imbroglione è sempre un abile comunicatore che cerca di avere in mano l’altro dicendo il minimo di sé, possibilmente niente. È la dinamica del molto fumo e del poco arrosto.

La politica ha come dinamica il sì che diventa no e viceversa. Quando si vuole creare partecipazione si indice un referendum dove per dire sì bisogna dire no e per dire no bisogna dire sì!

Le parole che si moltiplicano diventano qualcosa di assordante, un fragore assurdo e senza senso. Possiamo dire che la parola è origine di ogni bene se è sì al sì e no al no; è principio di ogni male, se è no al sì e se è sì al no! Se il tutto è orientato a convincere anziché al chiarire e a portare al vero. Dio, infinito, è tutto solo sì; l’uomo finito conosce anche il no, ed è vero quando è sì al sì e no al no! Ad ogni parola deve precedere e seguire il silenzio: la capacità di silenzio ci ridarà vita.

Il divieto di Gesù a giurare, non solo a spergiurare, è invito a giocare la parola vera, come mezzo di comunicazione e di comunione. Diversamente diventa falsa, mezzo di dominio e di divisione.

Se così tentassimo di vivere saremmo veramente beati, perché la vita e il mondo, politica compresa, sarebbe un paradiso.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
FONTE: Scuola Apostolica
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