Commento video (e trascrizione) al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM
LA MIA CARNE È VERO CIBO E IL MIO SANGUE VERA BEVANDA
È la conclusione del lunghissimo discorso tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, un discorso che gli costerà la delusione da parte della folla che seguiva Gesù sperando che potesse diventare il loro re; susciterà la preoccupazione dei capi religiosi, delle autorità, perché comprendono che Gesù viene a proporre, a inaugurare, una nuova relazione con Dio, molto diversa, addirittura destabilizzante, da quella che essi hanno imposto al popolo, e costerà a Gesù anche l’abbandono di molti dei suoi discepoli che, alla fine di questo discorso, lo abbandoneranno. Vediamo che cosa è successo, è il capitolo 6 di Giovanni, dal versetto 51 al 58.
Gesù ancora una volta rivendica la condizione divina attraverso il nome di Dio “Io sono”, Io sono il pane vivo. Il termine adoperato dall’evangelista indica pane vivente e usa un termine che indica una vita indistruttibile, quindi è un pane che, se mangiato, produce nell’uomo una vita di una qualità tale capace di superare la morte. Disceso dal cielo, – naturalmente il senso è teologico e non spaziale – indica l’origine divina; e poi Gesù mette una condizione: se uno mangia di questo pane vivrà in eterno – perché è un pane che comunica una vita indistruttibile – e il pane che io darò, è l’immagine, qui l’evangelista sta anticipando il significato dell’eucarestia, è la mia carne, il dono di Dio passa attraverso la carne di Gesù, per la vita del mondo. Non ci può essere comunicazione dello Spirito dove non ci sia anche il dono della carne. Gesù rovescia la spiritualità del tempo: a quel tempo l’uomo doveva spiritualizzarsi per innalzarsi verso Dio e invece lui presenta un Dio che si umanizza sempre più per avvicinarsi all’uomo. Allora la comunicazione di Dio si ha attraverso l’umanità delle persone: più siamo umani e più Dio riesce a manifestarsi attraverso di noi.
Questo suscita allarme e preoccupazione, ed infatti Allora i Giudei – cioè i capi religiosi, le autorità – si misero a discutere aspramente fra loro: “come può costui”, non nominano mai Gesù. Tanto è il livore, tanto è il disprezzo nei confronti di Gesù che evitano sempre di nominarlo e usano termini abbastanza dispregiativi, “costui”, “questo”, “darci la carne da mangiare?”. Un Dio che, anziché pretendere i doni, sia lui che si dona agli uomini, questo è inaccettabile per la mentalità religiosa.
Allora Gesù rinnova la condizione: Gesù disse loro: “In verità in verità – quindi è un’espressione che significa quello che vi sto per dire è sicuro, certo – io vi dico – ed ecco la condizione – se non mangiate la carne del figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, attraverso la carne e il sangue l’evangelista si rifà all’immagine con la quale fin dall’inizio del vangelo ha presentato Gesù: Gesù è l’agnello di Dio. Cos’è l’agnello di Dio? Mosè la notte dell’esodo aveva chiesto, comandato ad ogni famiglia di prendere un agnello e di mangiarne: la carne avrebbe dato la forza per inaugurare questo cammino verso la terra della libertà e il sangue li avrebbe protetti dalla morte. Ecco Gesù è il vero agnello la cui carne aiuta in questo cammino, in questo esodo, e il sangue libera non dalla morte fisica, ma dalla morte eterna.
E Gesù dice non avete in voi, non dice la vita, vita: è la stessa vita: non c’è realizzazione dell’uomo se non attraverso l’assimilazione e l’identificazione con Gesù. Poi Gesù, e qui l’evangelista usa un termine urtante, che non si adopera per le persone, dice chi mangia, in greco è “trogon” (fonetico), sentiamo già il suono, è mangiare rozzo, grezzo, quello degli animali, perché fa questo? Per evitare qualunque senso spirituale del termine, indica proprio una vera assimilazione. La mia carne – e poi Gesù dice quello che non avrebbe mai dovuto dire in un consesso ebraico – e beve il mio sangue, il sangue è la vita delle persone, gli ebrei non bevevano neanche il sangue degli animali, come si può bere il sangue? Questa è una cosa urtante; ha – non dice la vita eterna – ha vita eterna. La vita eterna non è un qualcosa che si aggiunge a questa vita, ma è una vita di una qualità tale che è indistruttibile, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. E poi conferma Gesù perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda, cioè l’autentico nutrimento.
E Gesù ancora insiste chi mastica la mia carne e beve il mio sangue – e per la prima volta rimane, è un verbo che è molto caro all’evangelista, lo adopera ben quaranta volte nel suo vangelo il verbo rimanere – rimane in me e io in lui. Il Dio di Gesù non è un Dio che assorbe l’uomo, ma un Dio che chiede di essere accolto nell’uomo per fondersi con lui e dilatarne la capacità d’amore. Questo fa sì che l’uomo rimanga in Dio e Dio nell’uomo.
E poi Gesù continua Come il Padre che ha la vita, letteralmente il padre vivente, ha mandato me e io vivo per il Padre così anche colui che – di nuovo – mastica me vivrà per me. Questo vivere per Gesù significa a causa di Gesù e grazie a Gesù: alla vita ricevuta corrisponde una vita donata. È l’immagine dell’eucarestia. Nella eucarestia c’è una dinamica di amore ricevuto e amore comunicato: tanto più grande è la capacità di donarsi, tanto più grande è la capacità di ricevere questo Dio che in noi rimane.
E conclude Gesù, e conclude con un affondo che poi gli costerà l’abbandono da parte dei discepoli, questo, e lo sottolinea, questo è il pane disceso dal cielo, qual era il pane disceso dal cielo? Il pane disceso dal cielo era la manna nel deserto. Gesù dice no, non è la manna, questo è il pane disceso dal cielo e non come quello che mangiarono i padri e morirono. E Gesù di nuovo affonda il coltello nella piaga dell’esodo. L’esodo è stato un fallimento: tutti quelli che hanno seguito Mosè sono tutti morti nel deserto e soltanto i loro figli ci sono entrati. E conclude Gesù, di nuovo col verbo masticare, chi mastica questo pane vivrà in eterno. L’esodo di Gesù è destinato a realizzarsi pienamente.