p. Arturo MCCJ – Commento al Vangelo del 7 Giugno 2020

Nel giorno dell’Ascensione siamo stati invitati a incontrare Gesù salito al cielo, che non ci ha lasciati soli, ma continua a vivere con noi, nel giorno di Pentecoste, invece, ci è stata la certezza della sua presenza con il dono di ‘colui’ che ci ricorderà ciò che ha detto e fatto. Oggi  la Chiesa è invitata ad alzare lo sguardo verso la fonte dell’amore: la S. Trinità. Di tutte le feste della fede che celebriamo, la solennità della SS. Trinità risulta probabilmente tra quelle meno “coinvolgenti” sotto il profilo emotivo e sentimentale. Forse perché, quando parliamo della Trinità, ci vengono subito alla mente parole e formule poco comprensibili. Parlare della Trinità non è certamente facile. Lo stesso Sant’Agostino, dopo avere scritto il 15° volume su di essa, ha concluso dicendo: non capisco nulla!

In verità nella Bibbia non si trova mai la parola Trinità (anche se sarebbe meglio dire Tri-unità), ma vi è il racconto del mistero di Dio, comunione di vita e di amore. Noi possiamo solo riportare ciò che abbiamo visto e sperimentato: che Gesù di Nàzaret è venuto tra noi e ci ha parlato di Dio come «Padre», lasciandoci in eredità nell’atto di morire lo «Spirito Santo Paràclito/Consolatore» come pegno e garanzia della sua presenza e del suo insegnamento (cf Gv 19,30). Tutto questo, come ci ricorda Giovanni, non per obbligo ma per la vera natura di Dio che è amore.

Abituati a dover «dimostrare» come «l’uno sta nel tre» e conciliare teologia e matematica, abbiamo perso di vista la dinamica e la tensione che abitano Dio. Il Cristianesimo si distingue da qualsiasi altra forma religiosa esistente per una rivelazione sconvolgente, che nessuno nella storia dell’umanità ha mai fatto: Dio in se stesso è «relazione» e che mette vicino Dio all’umanità.

Gesù, che non ha mai usato la parola «Trinità», espressione che appartiene alla teologia e alla catechesi, però ci ha fatto conoscere e sperimentare i frutti del mistero trinitario. Gesù ci ha detto che il Dio, nel quale noi crediamo, non è un Dio che vive nella sua splendida solitudine: egli è reciprocità, relazione, scambio, incontro, abbraccio. È un Dio che vive in comunione e di comunione.

In questa visione/rivelazione di Dio possiamo scorgere un sogno per l’umanità. Se Dio è Dio solo in questa comunione/relazione, allora anche l’essere umano sarà tale solo nella misura in che vive comunione/relazione. Si! Perché chiamare Dio di Padre Nostro, significa spogliarlo di quei titoli che lo rendono proprietà di pochi, Dio è Padre che ama tutti; definirlo uomo in Gesù distrugge i confini di ogni patria, perché al centro c’è sempre l’essere umano da cui Dio non si è mai allontano. Definirlo Spirito è credere nella possibilità di creare nuove relazioni che sanno superare anche i vincoli famigliari, perché chi accoglie lo Spirito si unisce alla nuova famiglia di Dio che non ha limiti di geni, sangue o cultura. 

Celebrare la SS. Trinità, allora, non può e non deve ridursi a una questione di concetti e parole da comprendere ma è un invito a guardare al mistero di Dio che oggi, la Chiesa, ci ricorda che non ci appartiene ma è dono di relazione, comunione e fratellanza che ci spinge ad essere persone capaci di promuovere lo stesso dinamismo nel mondo in cui viviamo. 


Fonte: Telegram

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