Prefazione
Letture e riletture profetiche
Ho conosciuto don Roberto al corso di preparazione per la missione che ogni anno si tiene al CUM (Centro Unitario Missionario della CEI) di Verona per i missionari italiani in partenza. Accompagnavo i partenti sul tema dell’evangelizzazione. E subito abbiamo scorto più di un motivo di profonda parentela nell’Abbà di Gesù: l’amore per la missione e per la Scrittura, e per un certo modo di leggerla che definirei «profetico». Del resto negli anni decisivi della nostra formazione – sebbene ci divida una notevole differenza di età – abbiamo avuto un prezioso riferimento comune, don Bruno Maggioni. Le folgoranti intuizioni del biblista comasco, la sua capacità di sintesi e la sua aderenza alla realtà – e non ultima la sua ironia – ci hanno fatto appassionare ai testi, specialmente a quelli evangelici. Con don Roberto abbiamo poi condiviso incontri di formazione per missionari italiani in Perù, e alla fine dell’ultimo ho anche potuto visitare la missione di Carabayllo dove lavora con don Ivan. Occasioni davvero preziose, che ci hanno permesso sane «contaminazioni» interpretative, insieme al riproporsi dello stupore davanti all’«inaudito» di una Parola che è sempre nuova e rinnova. Qualcosa come quell’ardere del cuore di cui parlano tra loro i due di Emmaus e che don Roberto commenta con grande empatia.
Introdurre il libro di don Roberto è perciò un compito grato. L’invito a farlo mi è venuto tanto inaspettato quanto gradito. Gradito perché mi permette di evidenziare alcune delle scelte che il missionario comasco opera nel suo testo e che nel mio servizio alla Parola condivido. Inaspettato perché ritengo senz’altro che avrebbe fatto meglio a chiedere a qualcuno(a) ben più preparato(a) di me. Ma questo è il mistero dell’«elezione»: lo contemplo e me lo tengo stretto come un gesto di amore, e dunque non mi spingo a indagare le ragioni ultime della sua scelta. Se è amore, è gratuito. E se è gratuito nessuna ragione potrà mai spiegarlo del tutto – in tal senso è un «mistero» – se non così: me l’ha chiesto perché mi vuole bene e forse, lo spero, anche perché si sente voluto bene da me. È il frutto dell’amicizia, generativa per sua natura. È il frutto dell’amicizia fondata sul Vangelo. Amicizia generativa perché gratuita, cioè capace di suscitare quella gratitudine che è uno straordinario moltiplicatore di energie spirituali, morali e intellettuali: la gratitudine rigenera la visione del mondo e sostiene, nonostante tutte le «prove» (tentazioni) che la vita ci infligge, la fiducia in Colui che lo ha creato. Preghiamo infatti «Padre nostro… liberaci dal male», affinché non cadiamo nella sfiducia quando ci prende la tentazione di pensare che la sua cura paterna si sia presa una vacanza. E pregando rinasce la fiducia e la speranza, l’amore e la dedizione.
Lettura «profetica», dunque. Cosa significa? Cerco di dirlo in qualche passaggio che sarà di necessità affrettato, a mo’ di «aperitivo». Del resto la mia preoccupazione è che il lettore si renda conto di quello che le meditazioni di don Roberto, e non solo questa piccola prefazione, vogliono dire.
Penso che il primo gesto di una lettura profetica sia il riconoscimento che Qualcuno ci ha già preceduti e che abbia disseminato di bene il nostro cammino. Una benevolenza che, qui e ora, desta lo stupore di una prevenienza e di un appello, la meraviglia di una accoglienza e di una cura, la sorpresa di una rivelazione e di una promessa. Stupore, meraviglia e sorpresa; tanto più se la grazia di questa benevolenza è veicolata dai piccoli e dai poveri: «In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”» (Lc 10,21-22). Si tratta di una intuizione di felicità (beatitudine) consegnata nel vivere, nel veder rinascere la vita, nel contemplare il rialzarsi di chi era piegato a terra, colta però e approfondita – nella gioiosa esultanza dello Spirito – nel ri-flettere su quanto abbiamo vissuto. Come appunto vediamo fare a Gesù.
La riflessione, gesto di secondo grado, suscita una ricerca, inquieta e persistente quanto sa essere un autentico cercare che non si concede scorciatoie. Dopo aver introdotto i «ri-» del Vangelo con il racconto di un incontro peruano, don Roberto documenta infatti un tormento, ora pacato ora drammaticamente urgente, consegnandosi al quale accade sempre che prima o poi si accenda un rimando, e che venga all’evidenza un aspetto di precedenti letture bibliche che fino a quel momento non era stato del tutto compreso nella sua profondità. La lettura profetica della vita, cioè il ritorno riflessivo sul vivere quale luogo del chiarirsi di una parola di Dio, è insieme e indisgiungibilmente lettura vitale – esperienziale, esistenziale – della Scrittura: essa può allora dire davvero il qui e ora del Dio-che-parla, rinnovando la certezza che Dio c’è, è qui per noi, ha a cuore la nostra salvezza.
La nostra salvezza, o anche quella di tutti? E a quali condizioni è possibile condividerne la promessa vivificante? Don Roberto non manca di interpellare direttamente il lettore, facendo così emergere il terzo aspetto di una lettura profetica, la sua sollecitudine pastorale: si rivolge volentieri al «tu» che legge e lo esorta. Una lettura è «profetica» se ha sempre in vista un altro / altri / l’orizzonte del mondo intero. La responsabilità di leggere e interpretare non è mai meno di questo e può, così, diventare motore di cambiamento, addirittura della storia. L’appello diretto al lettore è esigente, ma mai moralistico. Pone un’urgenza senza demoralizzare. Don Roberto vuole scuotere ma non sgrida: esorta secondo lo stile dello Spirito paràklito che come è noto difende, intercede, sostiene, consola. Semmai è lo spirito satanico che accusa, condanna, abbatte, abbandona. Don Roberto mai dimentica, anzi ce lo vuole proprio ricordare, che sempre il dono e il per-dono di Dio ci precede e ci mette in grado di fare quello che ci viene richiesto per il nostro e altrui bene. Non ci sono condizioni, tanto meno meriti, che possano farci «ottenere» salvezza. Ci sono piuttosto doni e perdoni che possono essere accolti o meno e che potrebbero cambiarci e cambiare la vita, consentendoci di essere finalmente umani nell’umanità compiuta del Figlio Gesù. A noi risolverci per una rinnovata sequela del Maestro di Nazareth che ci costituisce sempre di nuovo, seppure immeritatamente, figli del Padre, suoi fratelli e «discepoli missionari» (Aparecida ed Evangelii Gaudium).
Vedo in questo appello fraterno di don Roberto il richiamo indispensabile alla misericordia divina. E siccome sembra proprio che abbiamo da riformare la Chiesa partendo ogni volta dall’esperienza della misericordia ricevuta, credo che le letture profetiche di don Roberto ci aiutino a capire l’eredità di un anno santo dedicato al «cuore pulsante del Vangelo», ovvero alla contemplazione dell’amore misericordioso del Padre. Come dice papa Francesco, ognuno / ogni Chiesa deciderà cosa fare con le sue sorelle e i suoi fratelli, in maniera sinodale e dopo attento discernimento. Cioè dopo ripetute letture profetiche, orientati dai bisogni e dalle risorse – i segni dei tempi? – del luogo e del tempo in cui viviamo. Ma intanto potremmo ripartire dalla constatazione dell’offerta che il Signore ci fa di una sempre rinnovata «seconda volta». Nella Bibbia questo elemento è talmente pervasivo che è difficile non coglierlo come una struttura. Ed è anche sorprendente – in realtà è assai comprensibile… – quanto poco sia stato sottolineato. Fin dal principio se Dio non avesse rilanciato, offrendo una seconda (terza, quarta, quinta…) possibilità, la faccenda si sarebbe semplicemente conclusa al suo inizio. Penso ad Adamo ed Eva, a Caino, alla seconda volta della creazione con Noè, alla torre di Babele, alle ripetute offerte ad Abramo…; alle ripetute cadute del popolo nel deserto dell’esodo, e poi alla seconda volta dell’Alleanza con le nuove tavole della Legge…; fino al secondo esodo, questa volta da Babilonia; alla seconda volta concessa ai discepoli di Gesù dopo il loro misero fallimento durante la pasqua del loro Maestro – e qui vale come simbolo per tutti la vicenda di Pietro! Insomma, dovrebbe entrarci in testa, prima o poi, che dal punto di vista di una presunta giustizia nessuno può avere speranza, neppure coloro che pure si sono sforzati di osservare la «Legge» del Signore. Al riguardo san Paolo ha scritto la sua lettera più impegnata, quella ai Romani, ma noi continuiamo a leggere poco e male. Don Roberto ci aiuta a cercare un tempo per leggere qualcosa di più. E meglio.
Grazie «servo buono e fedele». Grazie di aver messo a frutto anche per noi il «talento» della profezia.
Luca Moscatelli