Lo Spirito Santo riempie di gioia il cuore dell’uomo che incontra Gesù
VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO A)
La prima lettura di questa domenica, sesta del tempo di Pasqua, ci offre l’occasione di meditare sulla missione della Chiesa nel mondo, cioè il modo con il quale essa vive nella storia e quale novità porta agli uomini di oggi. Il libro degli Atti degli Apostoli narra come la Chiesa abbia assolto al comando di Gesù di essergli testimone dovunque e sempre. Questa missione allora, come oggi, si compie grazie all’opera dello Spirito Santo. Lui è «l’altro Paraclito» di cui parla Gesù nel vangelo che abbiamo ascoltato. «Lo Spirito della Verità» è il vero protagonista dell’azione pastorale nella quale sono coinvolti i discepoli di Gesù che percorrono le vie del mondo sulle quali incontrano gli uomini per far conoscere loro il Signore. Noi dovremmo conoscerlo nella misura in cui apriamo il cuore ad ascoltare la sua voce. Ma potremmo essere anche tra quelli che, pur avendolo ricevuto, lo mettono a tacere per dare credito allo spirito del mondo. Lo Spirito di Dio ci fa sperimentare la gioia di essere amati e perdonati. Ci infonde speranza, ci ispira una sana creatività che ci aiuta ad adattarci alle situazioni dolorose della vita e a reagire positivamente e in maniera propositiva alle provocazioni degli avversari che ci mettono alla prova. La testimonianza dei primi cristiani attesta che il vangelo riesce a farsi strada anche attraverso le vie tortuose della storia e che il contagio della fede, mediante la testimonianza data a Gesù dai suoi discepoli, avviene soprattutto in contesti difficili e spesso sfavorevoli.
San Pietro si rivolge ai cristiani per confortarli mentre soffrono per il fatto di fare il bene e a motivo dell’osservanza del comandamento di Gesù. Essi si domandano se stanno compiendo la volontà di Dio o sono in balia di forze ostili. Proprio la concomitanza con la persecuzione, di cui i cristiani sono oggetto, mette in luce che lo Spirito Santo è l’artefice della missione evangelizzatrice della Chiesa. Luca nei primi capitoli degli Atti accenna ad una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme in seguito alla quale tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samaria (8, 1); Tuttavia, aggiunge che «quelli che erano stati dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola» (8, 4). Filippo è una delle vittime della persecuzione costretto a fuggire, ma è anche un cristiano che nella prova diventa evangelizzatore. Il nome di Filippo appare nell’elenco dei sette uomini «di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza» (At 6, 3) a cui è affidato l’incarico delle mense. Su di essi gli apostoli avevano pregato imponendo loro le mani (At 6,6). La Parola di Dio si diffondeva attraverso il linguaggio della carità fraterna. Nella difficoltà legata a dover lasciare la propria comunità e il servizio svolto fino a quel momento, Filippo comprende che quella situazione dolorosa è un’occasione da cogliere per condividere con persone nuove la fede in Gesù che gli ha cambiato la vita. Lo Spirito Santo gli ispira parole e gesti attraverso i quali i Samaritani, presso cui si trova, incontrano Gesù. Filippo evangelizza e testimonia il Cristo annunciando la Parola e operando guarigioni. L’evangelizzazione non è frutto di una strategia messa a punto a tavolino dagli apostoli, ma è opera dello Spirito che riserva sempre delle sorprese. Il discepolo di Cristo non è padrone dello Spirito, come se fosse un potere di cui servirsi, ma lui stesso si mette a disposizione di Dio come docile strumento dello Spirito. Il cristiano è come uno strumento musicale a fiato che suona grazie allo Spirito che lo attraversa.
Il vangelo trova un’accoglienza gioiosa perché l’insegnamento di Filippo è accompagnato dai segni e prodigi con i quali Dio manifesta la sua potenza nel liberare l’uomo dal male. Nell’Antico Testamento l’incontro con il Signore, sempre legato a manifestazioni della natura, suscita timore mentre quello con Gesù, che avviene attraverso i suoi discepoli, suscita gioia. I Samaritani, facendosi battezzare con l’acqua rendono manifesta una prima adesione a Gesù. Essa deve essere confermata dal battesimo di Spirito Santo perché la luce della fede non sia un fuocherello di paglia. Il pericolo è quello di ridurre la fede a elemento di appartenenza sociale, a interesse culturale o ricerca di emozioni suscitate da qualche esperienza miracolistica. All’ascolto della Parola predicata e ad una prima adesione di fede segue l’esperienza della preghiera grazie alla quale avviene il dono dello Spirito Santo. Come nel giorno di Pentecoste al cenacolo, lo Spirito Santo scende sulla comunità riunita in preghiera. In essa è presente Gesù che prega con la Chiesa e per la Chiesa perché venga lo Spirito Santo. Nella Chiesa in preghiera si rende presente e visibile Gesù. Una comunità che prega diventa segno visibile della presenza di Gesù vivo. In questo tempo in cui abbiamo vissuto il distanziamento sociale non siamo stati invitati solamente alla preghiera personale o a pregare “da casa” ma Dio ci ha voluto dare un’occasione per fare della nostra famiglia la sua casa di preghiera nella quale invocare e accogliere il dono dello Spirito Santo. La pandemia ha messo in discussione la nostra fede e a messo in crisi i modi forse troppo abitudinari di viverla. Senza la preghiera la luce della fede si spegne e con essa anche la carità.
Gesù nel «discorso dell’arrivederci» dice che pregherà il Padre perché venga lo Spirito Santo, l’altro Paràclito: questo avviene sulla croce. Per i discepoli è un momento drammatico perché segna il distacco fisico dal loro maestro. Le parole di Gesù alimentano la fede che ci permette di vedere nel buio della croce la luce di Dio. Il sacrificio di Gesù sulla croce è la preghiera rivolta al Padre che dona lo Spirito Santo. L’evangelista Giovanni sottolinea la continuità tra l’evento della morte di Gesù e le apparizioni del Risorto. Morendo Gesù consegna lo Spirito e manifestandosi ai suoi discepoli nel cenacolo alita su di loro dicendo: ricevete lo Spirito Santo. Gli apostoli ricevono con lo Spirito la missione di portare al mondo la misericordia di Dio. Così nella notte oscura della persecuzione il discepolo di Cristo sa di non essere solo perché Dio gli è accanto attraverso il Paràclito che lo sostiene e gli ispira parole e gesti attraverso i quali la luce della carità, che lo abita, possa illuminare coloro che incontra, soprattutto i nemici.
Nella espressione più alta di preghiera che è quella eucaristica, la Chiesa invoca lo Spirito Santo perché Gesù sia presente in essa, con il suo corpo e il suo sangue, visibile nelle specie del pane e del vino posti sull’altare. In ogni eucaristia si ripetono le parole di Gesù che lo rendono presente in mezzo alla comunità non solo attraverso i segni del pane e del vino, ma soprattutto mediante la comunione fraterna dei fedeli. Infatti, nella stessa eucaristia la Chiesa invoca una seconda volta lo Spirito Santo perché faccia di tutti coloro che si nutrono di Cristo un solo corpo e un solo spirito con Lui. La preghiera, l’eucaristia in maniera particolare, non è l’espressione della propria devozione individuale, ma esperienza di comunione con Dio e tra di noi. Lo Spirito Santo ci riconcilia con Dio e al contempo è il vincolo di unità che tutti unisce. La missione della chiesa non è la somma di singole attività e individuali ministeri, ma è la manifestazione visibile dello Spirito Santo che agisce per armonizzare, riconciliare, rappacificare, unificare nel vincolo della Carità. La comunione nella Chiesa, opera dello Spirito Santo, è il segno più eloquente della presenza viva e vivificante di Gesù nel mondo.
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!
Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]