card. Gianfranco Ravasi – L’agnello pasquale, simbolo di libertà

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Tipico del mondo pastorale, l’utilizzo di questo animale diventa centrale nel racconto dell’esodo verso la terra promessa, fino a rappresentare Cristo redentore del mondo

Se volessimo cercare nell’orizzonte del Creato, entro cui da mesi stiamo idealmente muovendoci, un animale da assumere a simbolo biblico della Pasqua, non potremmo avere dubbi: è l’agnello. Certo, esso è tipico del mondo pastorale, ma diventa un segno di libertà nella celebrazione della pasqua ebraica (Esodo 12). In filigrana a quel racconto gli studiosi hanno visto la trama dell’antico rituale della transumanza dei nomadi che a primavera con il loro gregge trasmigravano verso i nuovi pascoli.

Infatti, l’agnello doveva essere immolato senza infrangerne le ossa perché fosse di auspicio, ridonato da Dio nei futuri parti del gregge; doveva essere consumato dal clan familiare in piedi e con le vesti cinte, come persone pronte per la partenza; il suo sangue doveva essere versato sui paletti delle tende (o sugli stipiti delle dimore) per allontanare gli spiriti maligni. Nella Bibbia, però, questo rito naturistico primaverile diventa la memoria di un evento storico: è infatti l’atto fondamentale dell’esodo dall’Egitto verso la terra promessa, è il «passaggio» dall’oppressione alla libertà.

In questa luce, l’agnello si trasgura e si trasforma progressivamente in un simbolo messianico, già con il Servo del Signore cantato da Isaia: «Era come un agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori» (53,7). Sarà facile agli autori del Nuovo Testamento sovrimporre a questa figura profetica il volto di Cristo. Già san Paolo aveva trascritto il rito pasquale ebraico con i pani azzimi – cioè non lievitati perché cotti sulle lastre di pietra nel deserto – in questa prospettiva: «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non col lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1Corinzi 5,7-8).

Esplicito era stato il Battista quando, incontrando Gesù, aveva esclamato: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Giovanni 1,29). E il Cristo crocisso sarà visto dal quarto evangelista proprio come il compimento dell’annuncio del Battista e dell’evento pasquale ebraico: a lui, infatti, non vengono spezzate le gambe e «questo avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato nessun osso» (19,36).

Ecco, allora, in finale all’intera Bibbia la grandiosa coreografia celeste dell’Apocalisse che presenta ripetutamente l’Agnello (in greco arníon, un vocabolo che ricorre 30 volte nel Nuovo Testamento). Scegliamo la scena del capitolo 5 nel quale Dio affida all’Agnello- Cristo di svelare il senso dell’intera storia umana descritta in un libro «sigillato con sette sigilli» che solo l’Agnello riesce a sciogliere. Alla ne, aperto il libro, risuona un coro possente intonato da «miriadi di miriadi e migliaia di migliaia » di cantori: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione» (5,12).

Fonte: Famiglia Cristiana