Gesuiti – Commento al Vangelo del giorno, 23 Aprile 2020

Sembra che la Resurrezione sia ancora fatto difficile da spiegarsi; fecero fatica i discepoli, facciamo fatica noi. Forse la resurrezione ci destabilizza perché, come la morte in croce, va a colpire direttamente la nostra idea di Dio. Ci urta fortemente credere che i nostri fallimenti non sono l’ultima parola sulla nostra vita: in un certo senso sono una via per mettere noi stessi al centro della nostra attenzione, un modo per rimanere con la testa china sul nostro ombelico.

Giovanni oggi si rivolge ai suoi discepoli che cominciano a credere di aver “sbagliato bersaglio”. Anche a loro urtava perdere successo, anche loro facevano fatica a mettere da parte la logica per cui se Gesù guadagnava le folle, Giovanni le perdeva. È la stessa incredulità degli apostoli, chiusi nel cenacolo, davanti al Risorto.

Ma l’annuncio di oggi ci offre una nuova prospettiva: Giovanni ci invita a guardare chi viene dal cielo, ad alzare la testa dalle nostre piccole grandi paure; ci dice che, per comprendere i gesti di Gesù, la croce, la resurrezione, bisogna sapere che Dio dà lo spirito «senza misura».

È questo amare senza misura l’unico modo di amare autenticamente e di accogliere la testimonianza di colui che «Dio ha mandato». Solo in questa logica si riesce a comprendere che l’annuncio di Gesù non compete con quello Giovanni: entrambi, piuttosto, risuonano l’uno dell’altro, l’uno nell’altro.

Che bello che sia Giovanni a dircelo, uno di noi, uno che «appartiene alla terra», uno con le nostre stesse paure, che tuttavia non impediscono di «preparare la strada», di vivere gratuitamente, di gustare il Regno qui e ora.

Matteo Palma


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