I racconti di incontro con Gesù dopo la Pasqua esigono di essere letti non come resoconti cronachistici, ma come narrazioni che esprimono in termini narrativi l’esperienza pasquale dei discepoli, un’esperienza che sorge da un’irruzione inattesa e insperata (il darsi ad incontrare di Gesù) e che peraltro coinvolge in un cammino ineriore personale e collettivo di cambiamento e trasformazione nella fede.
Gesù viene in mezzo ai suoi discepoli ed è riconosciuto come il vivente. E’ sera. Il luogo è la sala in cui i discepoli hanno condiviso con Gesù la cena prima della sua passione. Sono elementi importanti e simbolici: la sera rinvia al buio che accompagna la passione, così pure alla sera della cena, alla memoria vicina del mangiare insieme e dei gesti di Gesù. Ora non c’è più l’intimità e l’amicizia ma la paura e la chiusura delle porte e dei cuori. Il luogo è chiuso e i cuori dei discepoli sono bloccati nel loro disorientamento.
In questo contesto – che parla di una condizione di assenza di prospettiva, di impreparazione e di impotenza – ‘Gesù venne’. Gesù risorto oltrepassa le porte e i cuori chiusi e irrompe inatteso, presenza che si fa vicina in modo totalmente nuovo, inedito, soprendente. Ogni motivo di paura è vinto. Anche la morte non ha più potere. In tutti i racconti di incontro con Gesù dopo la sua morte il suo venire è inatteso e l’iniziativa è sua. La sua presenza non è preparata né programmata. Il suo venire non è costruzione interiore di chi ha elaborato la sua morte, ma è un irrompere fonte di stupore e insieme nuovo percorso esistenziale che coinvolge la fede. Gesù venne e si fermò: il suo ‘venire’ particolare, oltre le barriere. Sta qui un richiamo alla Pasqua ebraica, che secondo la tradizione dell’Esodo fu celebrata dietro le porte segnate dal sangue degli agnelli.
Il suo primo saluto di Gesù è un saluto di pace. E’ il primo dono della Pasqua in stretto legame con le piaghe delle mani e del costato mostrate ai discepoli. Chi ‘venne’ non è un altro: è il crocifisso risorto, con i segni delle ferite nel suo corpo. Offrendo la pace fa un gesto di rivelazione: ‘mostra’ loro le ferite. Nel IV vangelo la pace è connessa alla passione e risurrezione di Gesù (14,27; 16,33; 20,19-26). Non è la pace del mondo, non elimina la morte e la sofferenza. E’ pace dono di Gesù: ‘Io ho vinto il mondo’ (Gv 16,33).
I discepoli ‘gioirono’. Il secondo dono della Pasqua di Gesù è la gioia. E’ una gioia che non dimentica la croce, ma che proprio nella croce legge il manifestarsi di un volto di Dio come amore che si dona. In questo sta la ‘gloria’ di Dio che si comunica sulla croce. Là dove c’è pace e gioia sono presenti i segni del Risorto e vi sono tracce per poterlo incontrare.
Gesù invia i suoi, li rende partecipi di una missione “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi… alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi”. I discepoli sono inviati a continuare l’opera di Gesù, il motivo della sua vita. Gesù dona lo Spirito: la prima comunità è trasformata: è accompagnata a superare la chiusura per portare il perdono di Cristo, dono dello Spirito. Gesù chiede ai suoi, a tutti insieme non solo a qualcuno, di continuare la sua missione, di essere presenza di riconciliazione. E’ lo Spirito il grande protagonista dell’esperienza della fede e della testimonianza che da Pasqua inizia.
Ciò apre a noi una visione di speranza e di fiducia: in ogni percorso umano in cui la pace è ricercata per superare conflitti, laddove c’è gioia che vince chiusure e distanze, laddove c’è opera di riconciliazione lì vi sono tracce della presenza del Risorto che ha consegnato il suo Spirito.
Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia. Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.