Commento al Vangelo di domenica 19 Aprile 2020 – Alberto Maggi

OTTO GIORNI DOPO VENNE GESÙ

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Il primo giorno della settimana – è il giorno della risurrezione di Gesù – i discepoli hanno preso l’abitudine, l’iniziativa di riunirsi per la celebrazione eucaristica- E riguarda proprio il significato profondo della celebrazione eucaristica il capitolo 20 del vangelo di Giovanni in questi versetti, dal 19 al 31, che la liturgia oggi ci presenta. L’eucarestia è il momento importante, indispensabile e prezioso per la crescita individuale e per la crescita della comunità; l’evangelista in questo brano ce ne dà il suo significato profondo, vediamo.

La comunità è riunita il primo giorno della settimana e – scrive Giovanni – che “Venne Gesù”. Ogni volta che la comunità si riunisce ecco che Gesù si manifesta. In questo brano l’evangelista evita di adoperare il verbo “apparire”; non sono apparizioni, sono incontri, sono manifestazioni abituali di Gesù quando la sua comunità si riunisce.

“E stette in mezzo”: è importante l’indicazione che dà l’evangelista sulla posizione di Gesù: quando Gesù si manifesta si mette al centro. Qual è il significato di questo? Gesù non si mette avanti gli altri, non si mette neanche in alto – il che presupporrebbe che le persone, alcuni,

potrebbero essere più vicini a lui – no, Gesù si mette al centro. Questo significa che nell’eucarestia non ci sono gerarchie d’importanza, ma tutti sono uguali attorno a Gesù. Ma Gesù dal centro non assorbe i suoi, non li attira verso di sé, ma da lì comunica il suo amore, potenzia il suo amore ai suoi per mandarne con lui e come lui verso gli altri.

Bene, una volta che Gesù si pone al centro pronunzia le parole che vengono ripetute per ben tre volte in questo brano – il tre significa quello che è completo, quello che è definitivo – “Pace a voi!”. Quello di Gesù non è un invito, non è un augurio: Gesù non dice “La pace sia con voi”, ma è un dono. Nell’eucarestia, la presenza di Gesù comporta un dono. “Pace” – lo sappiamo – nel mondo ebraico ha un significato molto ricco ed indica tutto quello che concorre al benessere degli uomini. Ebbene, a Gesù sta a cuore il benessere dei suoi discepoli e lui glielo dona.

Ma quelle di Gesù non sono parole, sono fatti. Infatti scrive l’evangelista che “Detto questo” – quindi dopo aver donato loro la pace – “mostrò loro le mani e il fianco che portano i segni della passione”. L’ordine di cattura – lo sappiamo – era stato per tutto il gruppo di Gesù; è stato Gesù – che aveva detto che il vero pastore è colui che dà la vita per le sue pecore – che al momento della cattura, in una posizione di forza, ha detto alle guardie “Se cercate me, lasciate che questi se ne vadano”. Lui non si è fatto difendere dai suoi discepoli che erano pronti a dare la vita per il loro maestro, no, è stato lui che ha dato la vita per i suoi discepoli. Ebbene, mostrando le mani e il fianco con i segni della passione, questo vuol dire che quell’amore che ha spinto Gesù a dare la vita, la sua stessa vita, per i suoi discepoli, rimane per sempre.

Quindi (per) la comunità ecco questo dono della pace: la sicurezza della presenza di un amore del Signore che è per sempre, un amore che protegge, un amore che avvolge, un amore che segue e accompagna i suoi discepoli. E infatti, scrive l’evangelista, che “I discepoli gioirono nel vedere il Signore”. L’esperienza di sentirsi tanto amati – c’è un’espressione che adoperiamo colloquialmente quando si dice “nelle mani del Signore, essere nelle mani del Signore” – non è soltanto la tappa finale di un momento di difficoltà, ma è l’esperienza costante del credente della comunità cristiana: si è nelle mani d’amore del Signore.

Poi Gesù torna di nuovo a ripetere questo dono della pace, ma questa volta aggiunge “Come il Padre ha mandato me”; il Padre come ha mandato il Figlio? Per manifestare il suo amore, la sua tenerezza incondizionata: un amore che non dipende dai meriti delle persone, ma dai loro bisogni. Il Padre non ha mandato il Figlio a trasmettere una dottrina su di lui, ma a manifestare il suo amore, la sua tenerezza.

Quindi Gesù dice “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Ecco, il compito dei credenti è prolungare nel mondo con il loro amore l’amore stesso del Padre e del Figlio che gli è stato loro riversato e, come Gesù non è venuto a portare una dottrina su Dio, così la comunità cristiana non deve trasmettere una dottrina, ma essere espressione del suo amore. E come si esprime il suo amore? Attraverso la carezza. La carezza è un gesto di tenerezza che tutti quanti possono comprendere.

E questa volta, scrive l’evangelista, “Detto questo” – quindi per il mandato, per essere capaci di manifestare questo amore della tenerezza – “soffiò”. L’espressione la troviamo nel libro della Genesi nel capitolo 2, versetto 7, quando è il momento della creazione dell’uomo, “e disse loro: ricevete” – non è “lo Spirito Santo”, ricevete “Spirito Santo”. Perché non è “lo Spirito Santo”? Non è la totalità. Gesù aveva detto che dava lo spirito senza misura. Da parte di Dio la comunicazione di vita è senza misura, la misura la mette la persona. Quelle parti che sono ancora occupate da risentimenti, rancori ed egoismi sono tutte parti dove lo Spirito non può arrivare, ma dove questo Spirito viene accolto in pienezza si innesca un dinamismo di amore ricevuto e amore comunicato. Tanto più grande è la capacità del discepolo di comunicare amore, tanto più grande sarà la capacità di ricevere questo Spirito da parte di Dio.

Dopo di questo c’è l’indicazione di Gesù sul condono dei peccati, che non è un’importante carica che Gesù dà ad alcuni, non è un potere che Gesù dà ad alcuni, ma è la responsabilità per tutti. La comunità di Gesù, con lui al centro, dove si irradia questo amore, emana luce. Quelli che vivono nel peccato – il termine peccato indica direzione sbagliata di vita e quindi riguarda il passato – quelli che, vivendo nel peccato, si sentono attratti dalla luce di questo amore e (ne) entrano a far parte, il loro passato viene completamente cancellato. Chi invece – Gesù lo aveva detto – chi fa il male odia la luce, rimane nelle tenebre, pur vedendo la luce di questo amore se ne ritrae, su questi rimane, incombe la presenza della loro colpa e del loro peccato. Quindi, come dicevamo, non è un potere per alcuni, ma un’enorme responsabilità della comunità di essere la luce dell’amore del Padre.


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