La Chiesa attende, in questo lungo sabato che precede la notte pasquale. Attende, dopo avere accompagnato al sepolcro il proprio Maestro e Signore. I discepoli sono fuggiti, solo un coraggioso notabile ha osato chiedere a Pilato il corpo del condannato e ha fatto dono al Cristo della propria tomba.
Nuda pietra come ultimo dono, manifesta dichiarazione di affetto di un discepolo che non è riuscito a salvare il proprio Maestro con la propria influenza e il proprio denaro. Gesù riposa, il volto sfigurato dai colpi e dalle ferite, il corpo irrigidito nello strazio di una morte per soffocamento, il sangue rappreso sulle membra.
Nessuno ha avuto il tempo di lavare questo corpo, di ridargli una parvenza umana. Primo di una lunga serie di corpi offesi, straziati, smembrati, vittime della più oscura e tribale violenza degli uomini, allora come oggi.
I discepoli, pavidi, sono nascosti in città, nessuno osa uscire, nessuno sa cosa ne è degli altri. Tutto è accaduto in fretta, troppo. Tutto è finito. La paura ora lascia spazio allo sconforto più buio, alla disperazione più cieca, alla rabbia verso gli assassini del maestro e verso se stessi. Ci eravamo illusi. Che sciocchi.
E invece.
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