Il Vangelo di quest’ultimo venerdì di Quaresima, ci presenta un luogo che fa da sintesi a tutto il cammino quaresimale; le rive deserte del Giordano sono il posto giusto per confermare la fede in Cristo: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero» (Gv 10, 41).
In questo giorno sembra udire l’eco delle parole del Profeta: «Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1, 29); come «Giovanni proclamò la sua venuta e lo indicò presente nel mondo» (Prefazio Avvento II), così la liturgia cristiana riconosce in Gesù «il vero Agnello che ha tolto i peccati del mondo, è lui che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita» (Prefazio Pasquale I). L’agnello diventa da subito simbolo teologico. Nella Bibbia esso assume diversi significati che vanno dalla debolezza e dalla sottomissione, all’obbedienza alla parola del pastore. Le Pagine Sacre lo identificano nel sacrificio per eccellenza: «Agli Israeliti dirai: “Prendete un capro per il sacrificio per il peccato, un vitello e un agnello, tutti e due di un anno, senza difetto, per l’olocausto» (Lv 9, 3).
Quando si sacrificava un agnello, il fedele offriva a Dio ciò che di più prezioso possedeva; simbolicamente offriva al Signore tutto se stesso, tutto il tempo in espiazione delle colpe compiute durante la giornata: «Offrirai il primo agnello la mattina e l’altro agnello lo offrirai al tramonto» (Nm 8, 4). L’agnello diventa così simbolo di guarigione e salvezza! Come non ricordare la notte in cui Dio salvò il suo popolo dalla schiavitù del Faraone? Un po’ tutti avranno davanti ai propri occhi l’immagine degli stipiti segnati con il sangue dell’agnello: «Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d’Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete con un rito perenne» (cf. Es 12,1-14,46).
Se per l’Esodo il sangue dell’agnello è segno di riconoscimento, per il cristianesimo diventa figura di Cristo che «maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Isaia 53, 7). Come il popolo che ne mangiò le carni (Cf. Es 12, 88), così anche noi ce ne nutriamo ogni giorno: «Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, dopo aver detto la benedizione, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo”» (Mt 26,26).
Cristo crocifisso è il «vero Agnello pasquale», è lui la «nostra Pasqua» immolata (cf I Cor 5,7): «Se vuoi comprendere ancor più profondamente la forza di questo sangue, considera da dove cominciò a scorrere e da quale sorgente scaturì. Fu versato sulla croce e sgorgò dal costato del Signore. A Gesù morto e ancora appeso alla croce, racconta il vangelo, s’avvicinò un soldato che gli aprì con un colpo di lancia il costato: ne uscì acqua e sangue» (Giovanni Crisostomo). Nella carne dell’Agnello immolato «tutto è compiuto» (Gv 19,30).
Nel sacrificio di Cristo si realizza la salvezza per ciascuno di noi: «Il soldato aprì il costato: dischiuse il tempio sacro, dove ho scoperto un tesoro e dove ho la gioia di trovare splendide ricchezze. La stessa cosa accadde per l’Agnello: i Giudei sgozzarono la vittima ed io godo la salvezza, frutto di quel sacrificio» (Giovanni Crisostomo). Facciamo nostra la voce degli angeli dell’Apocalisse e anche noi preghiamo insieme: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza ,sapienza e forza ,onore, gloria e benedizione» (Ap 5, 12).
A cura di don Bartolomeo de Filippis – Su Facebook
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