Io sono la risurrezione e la vita
Nell’imminenza della Pasqua la chiesa ci invita a meditare sul grande segno della resurrezione di Lazzaro, profezia della resurrezione di Gesù.
Nel racconto che la Liturgia della Parola ci presenta, abbiamo ascoltato che Lazzaro di Betania, fratello di Marta e Maria, era malato. Gesù amava molto questi amici, che frequentava nei periodi in cui sostava a Gerusalemme: nella casa di Betania trovava l’accoglienza premurosa di Marta, l’ascolto adorante di Maria e l’affetto fedele di Lazzaro. Le sorelle, annota l’evangelista, «mandarono a dire a Gesù: “Signore, colui che tu ami è malato”». Gesù, però, è lontano, al di là del Giordano e non si muove. Noi vorremmo vederlo correre, precipitarsi e invece no! Giovanni scrive che «all’udire questo, Gesù disse: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”», ovvero è un’occasione perché si manifesti, attraverso Gesù, la gloria di Dio.
Dopo essersi trattenuto due giorni dove si trova, Gesù decide di andare in Giudea. I discepoli lo mettono in guardia dicendogli: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?», ma Gesù replica che nel breve tempo prima dell’ora delle tenebre deve operare ciò che il Padre gli ha chiesto, per rivelare al mondo la sua luce. E aggiunge: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo»; poi, vista l’incomprensione dei discepoli, dichiara apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Quando Gesù giunge a Betania, il suo amico è già morto da quattro giorni. Marta gli va incontro dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Essa crede in Gesù e, sollecitata da lui, confessa la propria fede nella resurrezione finale della carne. Ma Gesù la invita a compiere un passo ulteriore, facendole la rivelazione decisiva: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?», cui Marta risponde prontamente: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Anche Maria corre incontro a Gesù e, gettandosi ai suoi piedi, esclama a sua volta tra le lacrime: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Vedendo piangere lei e quanti l’accompagnano, Gesù «si commosse profondamente e scoppiò in pianto». Gesù, uomo come noi, soffre per la morte di un caro amico. Il suo dolore è segno del suo amore intenso per Lazzaro, come capiscono anche i presenti che esclamano: «Guarda come lo amava!».
Ancora profondamente commosso, Gesù va al sepolcro e là chiede di togliere la pietra dalla tomba, alza gli occhi al cielo e dice: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Gesù, dunque, prega affinché quanti si trovano intorno a lui comprendano che egli è l’Inviato di Dio: è da notare che egli non accentra l’attenzione su di sé, ma agisce perché attraverso di lui gli uomini possano risalire a Dio! E la risposta di Dio Padre giunge immediata. Giovanni infatti annota che Gesù, dopo aver pregato il Padre, «gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario». Lazzaro, dunque, morto e sepolto come accadrà a Gesù, esce dalla tomba ancora avvolto dalle bende, e con la sua resurrezione profetizza la resurrezione di Gesù.
Ebbene sì. Questa è la gloria di Gesù, gloria dell’amore. Chi ha l’intelligenza della fede riconosce che l’amore di Gesù vince anche la morte. Ecco la consapevolezza con cui camminiamo verso la Pasqua: noi non siamo soli, siamo gli amici di Gesù, e anche nella morte egli sarà accanto a noi per richiamarci alla vita con il suo amore perché Cristo Signore «è la risurrezione e la vita e chiunque vive e crede in lui, non morirà in eterno».
Don Lucio D’Abbraccio
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