“Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.
Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete».”
È una risposta strana quella che Gesù dà a questo padre, il quale Gli chiede aiuto per il suo bambino che sta morendo. A volte non è semplice interpretare la risposta che Dio dà alle nostre preghiere. Quando preghiamo ci aspettiamo sempre qualcosa di immediato, come un segno, un cambiamento. Non sempre, però, accade questo.
E allora questo Vangelo ci ricorda che una preghiera che funziona non è quella da cui usciamo con qualcosa in cambio, ma quella in cui si resta, ci si fida. Questo padre è ostinato perché ama. È attaccato alla vita, non si arrende. Intuisce che non può finire tutto lì. Allora arriva quella Parola che salva, che ridà la vita a suo figlio: “Và, tuo figlio vive”. In quel momento si realizza quell’intuizione.
Quest’uomo ne avrà conferma solo dopo. Intanto non può che rimettersi in cammino verso casa, non certamente rassicurato da questo incontro, da questa preghiera. Compie semplicemente un atto di fiducia. Nella preghiera occorrono proprio fiducia e ostinazione. Non per convincere Dio, ma per crescere noi in questa relazione d’amore e in questo cammino. Dio è Padre e non ha bisogno di essere convinto, perché conosce già i bisogni dei Suoi figli e non lascia mai una sola richiesta inascoltata.