Gesuiti – Commento al Vangelo del giorno, 14 Marzo 2020 – Lc 15,1-3.11-32

I figli perduti sono due. Ma anche il padre è perduto, perduto perché i suoi figli hanno un’immagine distorta del suo essere padre. Il più giovane nella sua insofferenza decide di recidere questo legame che gli sta stretto, decide di fare a meno di un padre che non riconosce, e chiede la sua parte di eredità, praticamente augurandogli la morte.

Piuttosto che saperlo diviso, che costringerlo a restare, il padre decide di dividere, di spezzare tutto quello che ha e di consegnarlo alla sua fame. Di fronte all’amara scoperta che non ci si può sfamare da soli decidiamo di tornare a casa e l’abbraccio inatteso del padre arriva come il solo luogo che ci può ricomporre nel profondo delle nostre viscere.

A volte, però, anche chi non lascia mai la casa del padre si trova lontano e perduto. Nei nostri momenti di buio, di risentimento, di stanchezza, quelli in cui è più forte la voce che alimenta le nostre paure, finiamo per credere di essere stati dimenticati. Il dubbio che questo padre che in fondo ancora non conosciamo non farebbe lo stesso per noi diventa una voragine di rabbia e di dolore insostenibile.

La paura di non essere amati ci spinge a non lasciare al padre il potere di farci sentire così e preferiamo non farci trovare più, lasciare il posto in cui ci si aspetta che restiamo. E, con il gesto più libero che abbia mai fatto, il fratello maggiore, che non ha mai chiesto nulla, confessa il suo bisogno di essere amato allo stesso modo, e si arrende alla ricchezza umana del suo limite, come se stesse dicendo al padre “vienimi a cercare, anch’io voglio essere trovato”.

E Lui viene a cercarci e ci chiama figli, ci invita a rallegrarci e a ringraziare con Lui.

Caterina Bruno


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