La storia di questo povero padre, della parabola del figlio prodigo, commuove da secoli tutti coloro che la leggono e la rileggono. Infatti non si riesce a restare indifferenti davanti all’amore di quest’uomo che deve affrontare contemporaneamente il dolore per un figlio che lo considera morto tanto da richiedergli l’eredità, e un figlio che lo considera un padrone tanto da sentirsi semplicemente come un servo maltrattato.
Chissà quante volte questo padre si sarà chiesto il motivo del perché avere due figli e avere due fallimenti relazionali. I film americani ci hanno abituato a dividere le storie sempre tra buoni e cattivi, ma in questa storia ci sono solo sconfitti, e pare che non ci sia nessun vincitore. Ma se Gesù racconta questa storia è perché vuole spiegare la qualità delPamore che Dio ha per ciascuno di noi. Innanzitutto la prima caratteristica è quella della libertà. Il padre ama i suoi figli fino al punto che possono decidere anche di rinnegarlo, di mettersi contro di lui, di allontanarsi, di disprezzarlo, di deluderlo.
Li ama fino al punto da accettare la loro rivolta. A noi la libertà piace solo se garantisce le nostre aspettative ma quasi mai pensiamo che non si può mai obbligare nessuno ad amarci. La seconda caratteristica è l’attesa con cui riempie il tempo della prova: <<Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò>>.
Solo uno che attende ha gli occhi fissi sulla strada sperando di scorgere dall’orizzonte la sagoma del figlio. L’amore è un’attesa che ci spinge a uscire da noi stessi e ad andare incontro alPaltro senza mai però sostituirsi alla sua libertà. Anche nei confronti del figlio maggiore compirà il medesimo gesto: <<ll padre allora uscì a pregarlo».
Siamo abituati a pensare a Dio come uno che si prega e quasi mai pensiamo a quanto preghi lui noi. Ma l’amore non è forse pregare chi si ama di voler essere felice? La storia finisce senza dirci cosa ne è stato di quel figlio piccolo, o se quel figlio grande alla fine è entrato in casa. Siamo noi il finale.
Commento di don Luigi Maria Epicoco al Vangelo di Lc 15, 1-3. 11-32.
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