Commento al Vangelo del 7 novembre 2010 – mons. Andrea Caniato

12PORTE del 4 novembre 2010 – XXXII domenica del tempo ordinario.

Lc 20, 27-38
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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I Vangeli ci parlano spesso dei “farisei” e dei numerosi incontri-scontri che Gesù ebbe con loro. Nel brano di oggi troviamo un altro gruppo, potremmo dire un altro partito religioso, molto distante da quello dei farisei, con i quali anzi erano in aperto conflitto: si tratta dei “sadducei”. Essi ritenevano che solo i primi cinque libri della Bibbia fossero ispirati da Dio, cioè la sola legge di Mosè e rigettavano gli altri scritti e soprattutto le numerose tradizioni e consuetidini tramandate dai farisei.
I sadducei ritenevano che gli scritti mosaici non contenessero la dottrina della immortalità dell’anima, né tanto meno quella della risurrezione della carne, professata solo nei libri più tardi dell’Antico Testamento, come si legge anche nella prima lettura di questa domenica.
Le loro speranze, potremmo dire, erano tutte nell’orizzonte di questo mondo terreno. Basandosi solo sulla legge mosaica, pongono a Gesù un caso, che se ci fosse la risurrezione, creerebbe una situazione assurda, quella della donna che ha sposato uno dopo l’altro sette fratelli. Neanche i farisei avrebbero potuto rispondere, perché essi credevano che la vita dopo la risurrezione sia sostanzialmente uguale alla precedente, solo senza il male, la sofferenza, il peccato.
Con la sua risposta Gesù corregge sia la visione dei sadducei, che quella dei farisei. Ai primi Gesù risponde citando gli scritti di Mosè nei quali Dio si autodefinisce “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”: se Dio è per eccellenza il Vivente, non possono non essere partecipi della sua vita, coloro che egli stesso associa al suo nome.
Ma c’è l’altra questione, importantissima. La risurrezione non è un RITORNO alla vita. Risorgendo, l’uomo non torna alla vita di prima, ma AVANZA verso una vita nuova e piena.
Con le sue parole Gesù fa capire intanto che la risurrezione per la vita è dono di Dio, non capacità naturale dell’uomo. Poi che nella risurrezione non ci sarà il matrimonio. Esso infatti è segno dell’amore di Dio: nell’altra vita, non ci saranno più “segni”, ma la realtà stessa dell’amore di Dio, comunicato e goduto direttamente, faccia a faccia. Cesserà il matrimonio, perché ci sarà molto di più, l’amore stesso, l’amore puro, infinito e perfetto.
Tra le altre cose, questo brano del vangelo è il fondamento della consacrazione verginale e del celibato ecclesiastico, che non sono una scelta di privazione, di castrazione, ma la testimonianza che questa pienezza di vita a cui tutti siamo chiamati è attiva già in questo mondo, poiché Cristo è già risorto dai morti.

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