Il «Padre Nostro» non è solo una preghiera. È un programma di preghiera. È una carta di tornasole della nostra relazione con Dio.
Tramite questa preghiera possiamo fare il tagliando del nostro rapporto con il Signore e, dopo la verifica, trasformare le nostre considerazioni in suppliche. Do un esempio: già meditando sulla parola «Padre», posso riflettere sul mio sguardo e sull’immagine che ho di Dio. Lo vedo come Padre? O come padrone?
E l’immagine paterna di Dio rispecchia quella trasmessa da Gesù o riflette piuttosto altre interferenze che non c’entrano con il volto rivelato di Dio? Fatte queste considerazioni, posso pregare ad esempio così: «Signore, il mio sguardo su di te è a volte quello di un servo che non sa cosa aspettarsi da un padrone lunatico, oppure quello di un bisognoso che vuole ricevere senza alzare lo sguardo per incrociare il tuo sguardo che mi dona la dignità filiale.
A volte il mio sguardo è distratto, ti parlo ma non ti vedo e non ti penso… Ecco, Signore ti prego di rendermi degno di chiamarti Padre. Di sentire il calore del tuo sguardo su di me. Di capire che prima di cercarti, sei tu a cercare me. Dammi di chiamarti Padre. Dammi di sentirti Padre» .
Durante la preghiera collettiva e/o liturgica è normale che non possiamo sostare su ogni parola del Padre Nostro, ma quando preghi il Padre tuo nel segreto, soffermati, avanza lentamente. Dicendo la preghiera, permettile di dirti la tua verità, la tua rinnovata identità di figlio nel Figlio.
Fonte: il sito di Robert Cheaib oppure il suo canale Telegram
Docente di Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e l’Università Cattolica del Sacro Cuore.