p. Ermes Maria Ronchi – La Vergine di Nazareth: Colei che ha creduto all’Amore

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Di Ermes M. Ronchi, O.S.M.

Il Dizionario dei concetti biblici EDB, alla voce ‘dubbio’ riporta un incipit di Gertrud Ergot: il dubbio «non interessa l’intelletto che riflette, ma il cuore che crede e ama». Lo afferma anche Paolo: «è con il cuore che si crede» (Rom 10,9).

Il cuore è la porta degli dei. Come nel mistero di Dio, così anche nel mistero di una persona, si entra solo attraverso la porta del cuore.

“Credere all’amore” comporta quindi come un raddoppio di cuore (nel verbo e nell’oggetto). Questo cuore grande cercheremo di ritrovare nella vicenda di santa Maria. Confortati  in questo da Kierkegaard, quando scrive: «La fede è nell’infinita passione per l’esistente».

Fede speranza carità sono espressioni passionali o non sono niente.

«La vergine di Nazareth: colei che ha creduto all’amore». Il titolo riprende la prima lettera di Giovanni 4,16: «Noi abbiamo conosciuto e abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi».

«Abbiamo creduto all’amore»: sintesi del cristianesimo, non si crede ad altro. Non all’onnipotenza di Dio, non all’eternità, o alla fedeltà, o alla sua sapienza infinita. Dove si mette in gioco la fede è se Dio ha amore o no. Su questo Israele nel deserto giocava la sua vita: «Dio è per noi si o no?» (Es 17,7).

L’amore è la rifondazione della fede.

Ma che cosa vuol dire credere? Nell’A.T. la fede è detta con una radice ebraica ‘mn’ (da cui amen) che ha tre accezioni:

  • Acquistare stabilità, non traballare,
  • Fidarsi incondizionatamente di qualcuno.
  • Prestare fede ad un messaggio e/o a chi lo porta.

“Credere all’amore” è:

  • fondarsi e
  • fidarsi dell’amore. Rifondare la
  • Fondarsi sull’amore: come la casa sulla roccia, come l’ancora che si aggrappa e tiene nella Fondarsi sull’amore vuol dire agire scommettendo sull’amore come futuro del mondo, come sulla forza storica più potente. L’amore è il futuro della terra. È la stabilità. È il senso del tempo: io vivo perché amo. È il senso in grado di sfidare l’eternità: nulla mai ci separerà dall’amore di Cristo (Rom 8,35). Nulla, mai.

«Abbiamo creduto all’amore», non all’economia, ai numeri, ai mezzi, alla forza dell’intelligenza!

  • Fidarsi dell’amore: prestare fede ai suoi messaggi, quando grida e quando bisbiglia; aver fiducia che l’amore non tradisce, non viene meno, non abbandona. È più forte della L’amore non è credibile, è altra cosa: è affidabile. E Dio è credibile perché affidabile, perché fedele.

Ma non tanto fedele alla sua parola data. Molti uomini lo sono, è piccola rivelazione. Dio è fedele all’amore, fedele al bene! La fede si declina come fedeltà all’amore. Che non è credibile, è cieco; illogico, come la croce; una divina follia, secondo Platone. L’amore ha ragioni che la ragione non conosce. Ma l’amore è affidabile. Io mi fido e mi affido solo a chi so che mi ama. Sul suo amore metto la mia fiducia, sulla sua parola do la mia parola.

Così fa Gesù, che manda i suoi a due a due senza bisaccia, senza denaro, senza pane; dice: Voi vivrete affidandovi all’amore d’altri, vivrete di ciò che altri vi daranno. Fidatevi dell’amore. E li invia senza cose, ma non senza un amico: un bastone per appoggiarvi la stanchezza, un amico per appoggiarvi il cuore, l’amore d’altri per appoggiarvi la vita. E torneranno benedicendo Dio.

Ogni storia d’amore mette a nudo la natura della nostra anima. Così è per Maria: fede messa a nudo dalla sua storia d’amore. In tre racconti del vangelo (Annunciazione, Cana e Calvario) cercheremo non di estrarre delle idee, ma dei frammenti di vita. Un alfabeto della vita esemplare per il credente.

  1. ANNUNCIAZIONE: UN ANTICIPO DI FEDE

Con il movimento tipico di una macchina da presa, il racconto parte dall’infinito del cielo e poi il campo si restringe progressivamente, come in una lunga zoomata, fino a mettere  a fuoco un particolare solo: una casa e, dentro, una ragazza.

«E l’angelo entrò da lei» (Lc 1,28), nella sua casa.

La prima immagine evangelica di Maria è quella di una ragazza «a casa propria». La casa per la ragazza è come la cella per il monaco: un riflesso del cuore, un cerchio di interiorità, la porta chiusa per la preghiera (Mt 6,6). Il più bello dell’amore si vive cuore a cuore, nel segreto, non tollera testimoni.

Tuttavia il primo episodio della vita di Maria, menzionato dal Vangelo, è il suo matrimonio con Giuseppe. La ragazza di Nazaret è – dice Luca – vergine e sposa (cf. Lc 1,27): ha già detto il suo primo sì; e non a Dio, ma all’amore di un uomo. Ha conosciuto l’amore. Ha già delineato il proprio futuro, fidandosi dell’amore.

  • Ha creduto ad un amore di donna

Di Maria sappiamo due cose: ha un amore e una casa. Noi possiamo fare a meno di molte cose. Possiamo essere poveri di tutto, ma per vivere abbiamo bisogno di amore, anzi «ho bisogno di molto amore per vivere bene» (J. Maritain).

Povera di tutto, Dio non ha voluto che Maria fosse povera d’amore.

Solo quando è entrata nella dinamica dell’amore la sua vita è diventata piena e reale. Ogni chiamata d’amore è infatti un invito alla vita, decretato dal cielo.

L’amore interpella il perché dell’esistenza. Christos Yannaras scrive:

«Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico, la vita dalla sopravvivenza.

Sai che sopravvivenza significa vita senza senso e sensibilità, una morte strisciante; mangi il pane e non ti tieni in piedi,  bevi l’acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima.

Se però l’amato è accanto a te, tutto risorge. E la vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso di argilla della tua [vita] incapace a sostenerla. Questa piena della vita è l’amore…

Ed è la sola pregustazione del Regno, il solo reale superamento della morte. Perché solo se esci dal tuo io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro di lui».1

Uscita dal suo io, Maria può essere sedotta da Dio. L’amore non è una vicenda esclusivamente umana. Se c’è qualcosa sulla terra che apre la via alla trascendenza, questa cosa è l’amore.

Maria è aperta alla trascendenza proprio perché promessa sposa, perché è già entrata nelle cose dell’amore. Proprio perché innamorata, Maria può percepire il messaggio dell’Assoluto. Perchè intenta a tagliare una grossa fetta di poesia e di verità nel pane caldo dei giorni.

  • Si fida dell’amore al punto di attendersi l’impossibile

Il centro del dialogo tra l’angelo e Maria è racchiuso dentro due frasi speculari e complementari, come entro le due sponde di un fiume, due parentesi che racchiudono e danno unità al dialogo, tecnicamente una inclusione: «Come è possibile? non conosco uomo». «Nulla è impossibile a Dio». (Lc 1,34.37)

Maria crede alla possibilità dell’impossibile. La sua passione per l’esistente si completa con la passione per il possibile.  È possibile che Dio prenda carne, che un angelo parli, che Elisabetta generi un figlio, che l’ombra dell’Altissimo copra una ragazza di Galilea, come la tenda nel deserto, e la renda madre. È possibile che un giorno la donna adultera non venga lapidata ma perdonata, è possibile che Lazzaro esca dopo tre giorni dalla tomba intrise le bende delle lacrime di Gesù, è possibile che il figlio prodigo sia accolto con una festa, è possibile che Paolo il più fiero nemico dei cristiani diventi il più grande propagatore della nuova fede, è possibile l’impossibile, porgere l’altra guancia, perdonare 70 volte 7, amare i nemici, morir d’amore, risorgere. È possibile in questo mondo di disgrazia trovare grazia. È possibile nascere di nuovo.

La fede di Maria si esprime come un esplorare le frontiere del possibile, seguendo i passi di un amore onnipotente.

  • Crede ad un amore di madre

«Non temere, Maria» (Lc 1,30), dice l’angelo, la kenosis di Dio: se Dio non prende le strade dell’evidenza, dell’efficienza, della grandezza. Non temere se l’Altissimo si nasconde in una perla di sangue e di luce; se l’Infinito si abbrevia in un piccolo embrione umano. Non temere le nuove vie di Dio così lontane dalla scena, dalle luci, dalle emozioni solenni del tempio. Dio viene con quella apparenza di povertà e di semplicità e di non clamore che hanno le cose più necessarie: l’aria, l’acqua, la luce.

Non temere questo Dio bambino, che vivrà solo se tu lo vuoi; che, come ogni bambino, vivrà solo se la madre lo ama. Maria, Dio vivrà per il tuo amore. Nell’amore non c’è timore (1Gv 4,18). Maria crede a un Dio che a sua volta si fida dell’amore di una donna. Crede a un Dio che crede nelle madri. Un proverbio ebraico dice: «Poiché Dio non poteva essere dappertutto, creò le madri!».

Maria ha creduto ad un amore che fa vivere, «che scaccia  il timore» (1Gv 4,18). L’angelo ripete ancora a ciascuno: Dio vivrà oggi nel mondo per il tuo amore. Sta a te aiutare Dio ad essere vivo oggi, a incarnarsi in queste strade, difendere un suo spazio (E. Hillesum).

  • Crede all’amore gratuito e immeritato

‘Cai`re, Mariva’. Gioia è la prima parola: sii lieta, sii felice Maria.

Il primo vangelo è lieta notizia, qualcosa precede la tua risposta. L’angelo non dice: fai questo o quello, ascolta, prega, vai. Semplicemente: gioisci.

Un invito immeritato alla gioia apre il cristianesimo, prepara il primo atto di fede cristiana, ripete che credere in Dio è e rimane la prima parola di felicità per l’umanità, che c’è una felicità nel credere, un ‘piacere’ di credere.

Il  motivo  della  gioia  è  detto  con  le  parole  successive: ‘Kecaritwmevnh, piena di grazia’. Maria conosce le Scritture, quella parola non è mai risuonata prima d’ora. Si tratta di una parola  inaudita,  unica,  assente  dai  Libri  sacri.  Per  questo Maria è turbata e ne cerca il senso nella memoria e nella fede.

Questa  parola  che  ha  fatto  scorrere  fiumi  di  inchiostro deriva dal verbo greco caritovw, che indica il chinarsi amoroso, il venire di Dio che porta pienezza. L’angelo racconta l’avvicinarsi di Dio con un verbo al passivo. Anzi con un participio passato passivo.

Participio passato: indica una azione già accaduta, che ti concerne, è tua storia ma non viene da te bensì da qualcun altro, e precede ogni tua risposta. Donazione immotivata e gratuita.

Passato perfetto indica poi una azione che perdura e continua nel presente. E sconfina nel futuro.

Participio passivo: la traduzione esatta è riempita di grazia, non piena. ‘Riempita’ da qualcuno di qualcosa che non ti appartiene. E non ‘piena’ come fosse una tua condizione, una tua qualità innata.

L’angelo parla di amore donato e quindi di amore passivo da parte di santa Maria, e dice: “Tu sei amata teneramente, gratuitamente, per sempre”. Il nome di Maria è “amata per sempre”. E la sua funzione nella chiesa è di ricordare nel suo stesso nome questo amore che porta gioia.

In principio, una donazione. Credere a questo. All’importanza dell’amore passivo, al primato del lasciarsi amare, che è carico di rivelazione, perché è Dio stesso che in te si esprime, che parla con parole che toccano il cuore, che toccano le profondità della vita e generano accrescimento, incremento d’umano.

Maria crede nella forza dell’amore passivo, anticipando così l’esperienza di Giovanni, il discepolo amato (Pietro è invece il discepolo che ama), l’amato che poserà il capo sul petto di Gesù, che arriverà per primo al sepolcro vuoto, a credere cioè alla risurrezione, che ha la definizione più folgorante di Dio: Dio è amore. La chiesa d’oriente chiama Giovanni  ‘il teologo’. L’amore è teologia, rivelazione, conoscimento di Dio. Dio dice se stesso amando. Teologo è soltanto il lasciatosi amare.

Afferma Guglielmo di Saint Tierry: amor ipse intellectus. L’amore è già in se stesso intelligenza. L’amore sa. Amare significa conoscere e capire. O, secondo un detto medievale spesso citato da fra Davide Montagna: i giusti camminano, i sapienti corrono, solo gli innamorati volano! Arrivano più lontano, arrivano più in fretta, capiscono di più. Vanno più a fondo!

Il centro della fede è una esperienza di donazione. Come afferma Giovanni (1Gv 4,19): «In questo sta la fede,  non siamo noi che abbiamo amato, ma è Dio che ci ha amato per primo». Fede non è una adesione mentale, ma l’esperienza di una donazione che mi ha preceduto. Esperienza grata di un amore passivo. Dio non si merita, si accoglie.

Molti altri sono gli aspetti di questo fidarsi dell’amore. Li accenno soltanto:

  • crede all’amore leale di Dio per Israele, (il nome Gesù significa infatti ‘Dio salva’: «egli salverà il suo popolo» (Mt 1,21);
  • crede all’amore per sempre («il suo regno non avrà fine» (Lc 1,3));
  • ma soprattutto ama la parola di Dio più dei risultatidella parola. Ama la parola più ancora della sua realizzazione, come i profeti. Ama la parola di Dio più della risposta degli uomini.
  • Crede in Gesù, lo ama prima ancora di vederlo. Il suo anticipo di fede, nella totale gratuità, fa avanzare il regno.
  1. CANA: LA CASA DELL’AMORE

In quella casa dove l’amore giovane, dove la vita celebra la sua festa, Maria è presente, atto di fede nell’amore umano, passione per l’esistente. Ma non esistono due amori, c’è un solo amore, che muove il sole e l’altre stelle, che muove Adamo verso Eva, Dio verso l’uomo.

San Tomaso d’Aquino da questa definizione dell’amore: amore è passione di unirsi alla cosa amata. Tutto nel cosmo è attrazione, forza di coesione, passione di unirsi, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, dagli atomi alle galassie, dalla forza di gravità alla Trinità stessa. Il cosmo ha la forma dell’amore. In principio a tutto ciò che vive è un legame.

  • Crede nell’amore umano come benedizione divina

Maria è a Cana per partecipare di nuovo alla prima benedizione di Dio, la madre di tutte le benedizioni («Dio li benedisse e disse loro: crescete e moltiplicatevi» – Gen 1,28). Ecco che cosa significa benedire: invocare, evocare una energia che discende da Dio, fa crescere la vita e la moltiplica. È la benedizione originaria, più originale ancora del peccato originale. Nel creato è il bene che è presbuvteron (Origene), più antico, più  profondo,  anteriore  al  male.  Dio  benedice  con  l’amore. L’amore è la benedizione dell’esistenza.

A Cana si crede questo: che la presenza di Dio può essere trovata in tutte le esperienze umane, a cominciare da quelle del desiderio e dell’intimità (Sheldrake). Così è la fede: tensione tra un Dio che è sempre oltre, e il Dio che ha a che fare con la mia vita, e decreta e benedice l’amore. Passione per l’esistente e passione per il mistero.

  • Crede a un amore che si prende cura

«Disse ai servi: Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5). Quando viene a mancare il vino, in simbolo viene a mancare l’amore, finisce la festa della vita. Maria se ne accorge per prima, perché conosce l’amore meglio di tutti, perché ne ha provato la grande polifonia, perché gli innamorati volano. E l’amore è attenzione.

Ed ecco che si prende cura. Esprimendo inoltre la fede in un Figlio che si prenderà a cuore la situazione, crede in un Dio che si prende cura dell’amore.

Questa fede anticipa la fede di tutti i discepoli che videro   il segno che aveva fatto e credettero in Lui.

«Fate quello che vi dirà»: fate la sua parola, cioè agite, impegnatevi, realizzate quella Parola non è finita, ancora viene a riempire le anfore vuote della vita, a riempire di coraggio le case. Fare il Vangelo è la strada per reintrodurre l’amore nel mondo e nella casa, anche quando sembra impossibile, quell’amore che si estende sul figlio che ha sbagliato, sul coniuge che ha ingannato, sull’anziano che ha perso il senno, sul familiare malato; amore che ama per primo, ama in perdita, ama senza attendere contraccambio, amore di Vangelo.

  • Crede nella polifonia dell’amore

La metafora di Dio è sempre stata coniugata con la metafora dell’amore. E non nel senso consolatorio di un Dio che ama gli uomini, e di uomini che amano Dio, ma nel senso che senza un raggio di trascendenza, amore perde la sua forza e la sua capacità di leggere il mondo.

Scrive D. Bonhöffer:

«Il rischio implicito di ogni grande amore (religioso) è quello di smarrire la polifonia dell’esistenza. Voglio dire che Dio e la sua eternità pretendono di essere amati dal profondo del cuore, senza però che l’amore terreno ne venga danneggiato o indebolito, qualcosa come un canto fermo in rapporto al quale le altre voci della vita formino il contrappunto».

Maria ci insegna a non smarrire la polifonia dell’esistenza  e degli affetti. Dio non copre tutte le gamme d’onda del nostro cuore. L’amore di Dio non risponde a tutte le lunghezze d’onda del cuore dell’uomo, non pretende di esserne unico geloso sbocco.

«Amerai Dio con tutto il cuore» non significa amerai Dio solamente, riservando per lui tutte le energie affettive, ma lo amerai senza mezze misure, con totalità. Ma allo stesso modo amerai anche il tuo amico con tutto il cuore, e la tua sposa, e tua madre, e i tuoi figli. Ma non soltanto loro. Totalità non significa esclusività. Tu sposa amerai con tutto il cuore tuo marito, i tuoi figli, il tuo prossimo. E con tutto il cuore amerai anche Dio.

Il Signore dice: «Non avrai altro Dio all’infuori di me» (Dt 5,7). Non dice: non avrai altro amore all’infuori del mio. Il cuore è polifonia di affetti. C’è un rischio in ogni grande amore: quello di perdere, in nome di un amore totalizzante, la polifonia del cuore.

Questa polifonia non discende da realtà diminuite, ma da realtà complete: l’amore è figlio di addizione, non di sottrazione.

Continua Bonhöffer:

«L’amore sponsale, amicale, filiale è uno di questi temi contrappuntistici, del tutto autonomi e tuttavia collegati al canto fermo dell’amore di Dio. Non c’è forse, nella Bibbia, il Cantico dei Cantici? Non sapremmo immaginare un amore  più caldo, più forte, più sensuale, più incandescente. Ed è importante che si trovi nella Bibbia a smentire tutti coloro che vedono il cristianesimo come moderazione. Quando il canto fermo è limpido e distinto il contrappunto può dispiegarsi in tutta la sua energia. Quando si è dentro questa polifonia la  vita è completa e si sa che nulla di funesto ci può accadere fino a che il canto fermo viene tenuto. Così molte cose saranno più facili da sostenere nei giorni vissuti insieme, ma anche dopo, nei giorni della separazione. Non temere: affidati al canto fermo».

In altre parole: fidati dell’amore.

Il Vangelo è nelle case proprio per benedire questa polifonia del cuore che è completezza della vita. Maria è la donna dal cuore completo, dalla vita completa.

  • Crede all’amore come primo luogo di evangelizzazione

Le nozze sono sempre state nella Scrittura un simbolo del rapporto con Dio. L’amore tra uomo e donna adombra la relazione d’amore con Dio.

L’amore giovane può essere anche oggi un luogo privilegiato di evangelizzazione, di apostolato. Il compito primario del credente non si riduce a regolare le erranze di tanti in questo campo, ma consiste nell’evangelizzare, nel far sentire che non siamo soli, orfani in un mondo oscuro e senza speranza, che l’amore è il senso e che, per i nostri fratelli che amano, la dolce carne degli altri è parte della salvezza.

Avvicinare i giovani che vivono situazioni d’amore o sessuali irregolari, avvicinarli con il linguaggio del divieto, del giudizio, della regola, è assurdo e forse anche criminale; significa allontanarli per lungo tempo dalla Chiesa.

Dobbiamo far loro sentire l’eternità che si annuncia nell’innocenza e nella dolcezza del vivere l’amore, senza drammatizzare quelle che sono le erranze momentanee. Il vero amore quando è adolescente, aperto al mistero e all’incontro, può costituire il momento prezioso dell’evangelizzazione.

Spesso l’amore è una esperienza mistica allo stato selvaggio, l’unica esperienza «sacra» per la maggior parte dei nostri contemporanei, che permette di uscire dal proprio io e di sentire che non puoi vivere senza mistero.

In questa esperienza tanti uomini e donne si aprono alla trascendenza, sono dei veri mistici, nel desiderio appassionato che l’altro esista oltre la morte, che l’amore sia forte quanto almeno la morte. Amore custode delle domande ultime.

E a partire da questa esperienza mistica primitiva, Dio può essere visto come la sorgente degli incontri, come la forza di attrazione del cosmo, come la connessione delle vite e la loro direzione, come la vittoria della comunione sul progetto del divisore. (Per es: inferno e paradiso li capisce chi ama…).

Dobbiamo capire e far capire che c’è nell’amore una sacramentalità, che è segno efficace di Dio, che incarna Dio nella terra, che è decreto di Dio.

Allora potremmo capire il sacramento del matrimonio che apre, riconosce, benedice, solleva il mistero già intuito in ogni autentico amore. Potremmo rovesciare il conflitto tra l’etica della Chiesa e quella della cultura contemporanea nel campo della sessualità, in luogo e occasione di evangelizzazione.

Allora, nella gloria dei corpi, vissuta come amore, c’è una esperienza della risurrezione, perché l’amore umano ha qualcosa a che vedere con Dio. Lo garantisce san Paolo agli Efesini quando unisce senza discontinuità il mistero dell’amore umano al mistero di Cristo e della Chiesa: «e questo è un unico grande mistero». Non ci sono due amori.

La relazione uomo-donna si iscrive nelle immense relazioni dell’uomo e della terra, di Dio e dell’umanità. Amore custode delle domande ultime.

  1. AI PIEDI DELLA CROCE

La Bibbia è un libro che sanguina, come la vita. In questo racconto Maria è la donna forte e coraggiosa che non ha avuto sconti sul prezzo della sofferenza, coinvolta nella kenosis del Verbo.

Tutto si fonda sulla fede in quel Figlio che muore. Lì l’amore sta scrivendo il suo racconto con l’alfabeto delle ferite. L’unico che non mentisce.

Il corpo in croce è il luogo dove è detto il cuore.

  • Crede all’amore come maternità, ferita e mai arresa

Quando tutto muore, quando tutto si fa nero sul Golgota, Gesù pronuncia parole di vita: «ecco tua madre», «ecco tuo figlio». Parole che dicono generazione e affetto, e vita che riprende a scorrere. È il segno della speranza di Gesù: disperato è colui che vede ormai il trionfo della morte. Cristo no, egli vede altro, vede una madre e un figlio, prega un uomo e una donna di riannodare il filo spezzato della vita. La morte non vincerà, non per sempre.

Nel dolore noi ci aggrappiamo a Dio. Sul Calvario è Dio che si aggrappa a noi, alla cosa più forte – istinto, energia, potenza – che esista sulla terra: il rapporto madre-figlio. Per ricostruire da lì un cammino che non si smarrisca. In principio è posto di nuovo un legame.

Maria, da oggetto di dolore, colei che subisce la tragedia, è chiamata a diventare soggetto del dolore, a passare da un dolore soltanto subìto a una sofferenza vissuta attivamente, a prendere posizione, a riprendere in mano la vita.

«Donna, ecco tuo figlio», un figlio muore ma un figlio ti è dato. La tua vocazione è, da sempre e per sempre, una sola: essere madre. La tua vocazione deve prevalere sul tuo dolore. I tuoi amori valgono più della tua vita. Ecco qui un figlio, ritorna a essere madre: «l’amore conta più del dolore». Dolore di agonia e dolore di parto intrecciati insieme. Gli unici dolori che hanno senso sono quelli del parto. Invitata a credere nell’amore, amore di madre, Maria vive la sua vera pasqua: maternità ferita e risorgente. Amore ferito e moltiplicato.

Quando Gesù dice: «Ecco tuo figlio, ecco tua  madre»,  parla a tutta la chiesa e anche a me, e mi indica chiunque mi cammina a fianco nell’esistenza, chiunque un giorno mi abbia soccorso.

Figlio e madre a ogni creatura: questo è l’uomo di Dio.

Figlio e madre a ogni vita: questo è ognuno che appartiene a Cristo.

In fondo, l’unica eresia è l’indifferenza.

La vocazione del credente è la stessa di Santa Maria, maternità: custodire, proteggere, prendere cura, amare. Ogni credente ha un compito supremo: custodire delle vite con la nostra vita. Soprattutto le vite deboli.

Maria, non più madre perché suo figlio sta morendo, ritorna a essere madre: madre di maternità ferita, un figlio muore; di maternità risanata: «Ecco tuo figlio»; di maternità moltiplicata: tutti noi siamo suoi figli. Eccola: ostinata nell’amore, bellissima arroganza dell’amore di madre levata contro la morte.

Amore è toglimento di morte (a-mors). Amore si oppone alla morte. Sul calvario un avvìo di amore toglie morte al luogo, è presagio di risurrezione. Perché solo se esci dal tuo io, avviene il reale superamento della morte. Senza un tu amato la sopravvivenza è morte strisciante. Non amare è un lento morire. Chi non ama, dice Giovanni (1 Gv 3,14) rimane nella morte. Chi ama, passa da morte a vita.

  • Maria crede nell’amore come accoglienza

«E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa». La casa: dove accogliere chi ha perduto parte di sé, offrendogli l’attenzione del cuore, come a un figlio stanco a cui non cerchi tanto di fare il bene, ma di volergli bene. Ascoltandolo. Standogli accanto. La casa, il contrario dell’incontro occasionale o casuale, dice stabilità, relazione che continua. Futuro.

Maria è consegnata al discepolo e il discepolo è consegnato a Maria. Una reciprocità di accoglienza è il primo atteggiamento chiesto da Gesù alla Chiesa nascente, ultimo mandato.

Maria ha accolto l’annuncio dell’angelo, ha accolto il Verbo nel suo ventre; accoglie nel cuore eventi e parole; accoglie Giovanni come figlio. Il principio mariologico dice che il criterio dell’accoglienza entra nella struttura stessa dell’esperienza cristiana.

Sul piano antropologico interpretare la religiosità sotto la categoria dell’accoglienza è gravido di conseguenze. Se la comunità messianica sorge da una duplice accoglienza, quella di Maria e quella di Giovanni, non può esistere Chiesa di Cristo senza il criterio determinante e discriminante dell’accoglienza.

La Chiesa o è accoglienza o non è.

La logica intima dell’accoglienza si oppone alla logica della scena pubblica da conquistare. Accogliere e custodire dovrebbero determinare la fisionomia della Chiesa, articolarne la disciplina, plasmarne il linguaggio. Ne deriva una Chiesa che sa farsi compagnia a tutti, e in questo è la sua grazia per il mondo.

L’accoglienza parla della via discendente di Dio.

Il Padre rallenta il suo passo sul ritmo del nostro, impolvera  i suoi piedi sulle nostre strade, abbrevia il suo passo sulla misura del nostro, dentro la polvere dei nostri sentieri. La fede ci assicura che è Dio che discende. Credere all’amore significa accogliere. Dio non si merita, si accoglie. Nel suo esodo eterno.

  • Maria crede l’amore più grande

In tutto il vangelo amare si traduce sempre con un altro verbo: dare. Dio ha tanto amato il mondo da dare suo figlio (Gv 3,16). Non c’è amore più grande di dare la vita (Gv 15, 13). E chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca… Amore è corpo dato. Un fatto di mani, non di emozioni.

La grandezza dell’amore è dare la vita, crocifissione. Il più grande amore è oblio della misura (fino all’estremo).

Credere nell’amore più grande, che è corpo dato, significa che:

  • L’amore è debolezza.

L’amore non protegge, espone. Chi ama diventa debole verso la persona amata, infatti l’amore può tutto eccetto che obbligare ad amare, o costringere, o fare violenza. Chi ama è debole e mendicante di consenso: “Io sto alla porta e busso e aspetto che mi si apra”. Questa è la debolezza di Dio. L’amore ti mette in balìa di colui che ami, dipendi dalla sua risposta. Dio in balìa dell’uomo. Di quella porta chiusa. L’uomo può dire di no a Dio ma Dio non può dire di no all’uomo. Questa   è la sua debolezza. L’uomo è libero, può perfino deridere l’amore, così Dio è debole di fronte alla libertà dell’uomo. L’amore è forza verso tutto il resto del mondo, ma l’amore è debolezza verso l’amato. L’amore in tutte le sue accezioni arma e disarma. È fortissimo e debole.

  • L’amore è povertà.

L’amore vuole mezzi poveri, perché il primato sia del cuore. E il mezzo più scandalosamente povero che l’amore ha scelto è stata la sofferenza. Ha scelto il dolore, il più povero di tutti i mezzi possibili.

Il mezzo più follemente povero è la Croce, pazzia per l’intelligenza! Ma l’amore, dice Platone è appunto theia mania, divina pazzia.

Dio non viene amato perché onnipotente ma perché è crocifisso amore. Dio ci viene in soccorso, ma non con la sua onnipotenza, bensì con la sua impotenza (Bonhoffer). Non ci salva dalla morte, ma nella morte. Non ci protegge dalla sofferenza, ma nella sofferenza.

Dio non si colloca tra salute e malattia, ma tra disperazione e fiducia. Il paese di Dio non sono le cellule dell’organismo da guarire, ma le fibre della paura, dove si annida quella che i salmi chiamano «la bestia del canneto» (cfr. Sal 74,13). Dio sta nel riflesso più profondo delle lacrime. A farsi argine alla disperazione. Io ricordo sempre quello che diceva P. Turoldo:

«Io non ho mai pregato Dio perché mi guarisse dal cancro, mai. Perché doveva guarire me e non guarire la madre di famiglia che muore giovane e lascia due figli piccoli? Perché devo pregare che la bomba non cada sulla mia casa ma cada sulla casa del vicino? Io chiedo non la guarigione ma che mi dia forza per affrontare la malattia!».

  • L’amore è dipendenza.

Amare significa dipendere, chi ama dice: ti amo, ti seguirei in capo al mondo, se cambi città la cambio anch’io, voglio dipendere da te. Questo è vero anche per Dio. Non solo Dio è amore, ma Dio è esclusivamente amore. Se Dio è nient’altro che amore Egli è il più dipendente degli esseri, è un infinito di dipendenza. Il padre del figlio prodigo dipende da suo figlio, se tornerà ci sarà festa, se non tornerà ci sarà amarezza.

Il profeta Sofonia grida una parola stupenda (II dom. di avvento, anno C): «Dio esulterà di gioia per te e griderà: tu mi fai felice!» Questo Dio che danza di gioia attorno me e non dice, ma grida: tu mi fai felice, afferma che la sua felicità dipende da me, che ha posto nelle nostre mani la sua gioia.

Ci sono due tipi di dipendenza: è il bambino che dipende dalla madre o è la madre che dipende dal bambino? Sul piano della vita concreta, biologica è il bambino che dipende dalla madre per sopravvivere, ma sul piano dell’amore è la madre che dipende dal bambino e dice: se tu stai bene io sto bene, se tu stai male io sto male. Tu sei la mia vita. Tu vieni prima di me. Dio è esclusivamente amore e quindi è il più dipendente degli esseri, dipende dall’amore.

  • L’amore è umiltà.

Umile non perché bisognoso, ma nel senso che l’amore vero non può che guardare l’altro dal basso verso l’alto. Se uno che insegna all’Università dice alla sua fidanzata: io ti amo, ma tu non dimenticare mai che io sono professore e tu hai il diplomino di scuola media, credete che questo sia amore? Certamente no.

Invece Gesù quando lava i piedi agli apostoli li guarda dal basso verso l’alto. Noi cerchiamo Dio al di là del cielo mentre sta lavandoci i piedi nel gesto di servizio di una sorella o di uno sconosciuto. La lavanda dei piedi è svelamento del luogo di Dio. Dio non può che mettersi in basso altrimenti non possiamo dire che Dio è amore.

Allora l’umiltà di Dio è la profondità stessa di Dio. Ci vuole più forte amore per mettersi in evidenza o per nascondersi ai piedi del proprio oggetto di amore? Dio certamente è più grande di noi ma è più grande di noi nell’amore e quindi più grande in umiltà. Quando volle manifestarsi Dio si umiliò, si nascose ancora di più, assumendo la forma umile di servo… Umiltà si traduce con servizio.

  • L’amore è impotenza.

Amore è perfetto disarmo nella consegna di sé.

Si dice “Dio può tutto” ma questa frase non è vera. No, Dio non può tutto, Dio può soltanto ciò che l’amore può. Non può odiare e disprezzare, non può distruggere, non può amare la morte, l’ingiustizia o il peccato. Dio non può tutto, può solo ciò che l’amore può. Ma questo fa nascere la più grande gratitudine. Un onnipotente che ama fa qualsiasi cosa. Dio non è l’Onnipotente che ama, ma un Amore onnipotente, che diventa crocifisso amore. Un Amore onnipotente è incapace di distruggere alcunché ma è capace di arrivare fino alla morte propria. Disarmato amore. Onnipotente amore, che nulla ferma, che nessuno mai separerà dall’amato, che va fino all’estremo, che nessuno ostacolo arresta.

L’onnipotenza dell’amore è la morte. Andare  fino  alla morte. Non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che si amano. La croce è l’abisso dove Dio diviene l’amante. L’onnipotenza dell’amore è la Croce, morire per le persone amate e perdonarle. L’onnipotenza dell’amore è la morte. Morir d’amore. Così è l’eucaristia, corpo dato e consumato ancora.

L’amore non conosce altro castigo che castigare se stesso.

Tutta la fede dei cristiani, l’origine e la sintesi del nostro credere è qui “Dio ha amato per primo, Dio è onnipotente amore, la sua onnipotenza è la Croce” e abbiamo detto tutto. E noi tentiamo di credere questo amore. Noi siamo degli amati amanti, che credono che l’amore è. Fondamento.

Maria alla croce ci guida in questa esperienza di fede nell’amore più grande.

Jaspers: Dio non esiste per gli uomini come qualcosa di oggettivo che amministra la grazia ed esprime richieste. Dio è sempre e solo quel Dio che esiste per la singola esistenza. Ecco la relazione d’amore, che santa Maria ha conosciuto. Fino all’estremo.

  1. CONCLUSIONE

La nostra generazione è affascinata dai profeti, forse più ancora che dagli apostoli; abbiamo fame di profeti, uomini dal cuore in fiamme, uomini certi di Dio; fame di parole autorevoli e autentiche, che creano e fanno essere ciò che ha da essere. Il maggior elogio che si possa fare a un predicatore non è forse quello di essere profetico?

E probabilmente è giusto che sia così, in un’epoca di tragedie sempre incombenti; ma il dubbio va posto nel cuore dei credenti che per la Chiesa di Gesù Cristo, per il Vangelo, sia più importante una Maria ostinata nell’amore, credente gioiosa e maestra di stupore, che un Giovanni Battista che profetizza di fuoco e di scure. Il sorriso della ragazza di Nazaret forse è più costitutivo della fede di quanto non lo siano le visioni apocalittiche, gli oracoli e la voce tonante di coloro che hanno scandito la storia dell’attesa.

La Bibbia ci appare affollata di uomini dalla fede salda e possente. In Maria non sono la sua fermezza o la sua sicurezza a colpire, quanto piuttosto la leggerezza del suo stupore.

Se scavi sotto le sue parole, non trovi tanto la compattezza o la saldezza, ma piuttosto un sentimento di smarrito stupore, di ingenuo interrogativo, come di uno che se ne sta con la bocca aperta a guardare una realtà imprevista, inattesa, sorprendente. Che cosa stupisce Maria? La gioia di Maria, così evidente nel Magnificat, non deriva dal suo temperamento ma da un’esperienza spirituale. Non è Maria che è gioiosa, è la sua fede, riconoscente e stupita. Fede in un Dio innamorato. Forse è il Signore che ci ricorda che serietà, tensione, urgenza, rischio sono nulla senza gioia. La gioia di Maria fa la fede essere ciò che è: ospitalità di un Dio innamorato e affidabile. A  noi, ammantati di gravità e concentrazione, Maria ricorda che la fede o è gioiosa o non è. La fede vera, quella del Magnificat, serena, leggera, distesa, lieve come è quella della ragazza di Nazaret sui monti di Giuda, l’anima danzando.

Di fronte a Dio non c’è nulla di meglio che essere trasparenti, così come per l’aria di fronte al sole; essere leggeri come il polline dentro il vento di primavera (Simone Weil). Di fronte a Dio per l’essere umano non c’è nulla di meglio che essere nulla. Un nulla cui Dio ha regalato un cuore.

È l’esperienza della prima dei credenti, la credente gioiosa che ha creduto alla polifonia del cuore e che ha posto la sua forza nell’amore disarmato, nella impotenza e onnipotenza dell’amore più grande. Passione per l’esistente significa non vivere senza mistero.

Una splendida immagine della mistica sufi descrive l’umiltà della serva di Dio (ha guardato all’umiltà…) come una clessidra che si svuota con gioia, e lascia così spazio alla pienezza di Dio.

La gioia della povertà umile nasce da una certezza: la clessidra sa che all’improvviso, una mano la capovolgerà. Solleverà in alto il suo cuore di sabbia. E vedrà che quella sabbia in realtà non misura il tempo, ma il senso del tempo: misura cioè, granello per granello, il racconto dell’amore.

Concludo con una strofa di un inno duecentesco che  i Servi di Maria innalzavano alla loro Signora: Ave novella femina. A lei che i teologi chiamano nexus mysteriorum, i suoi Servi dicono nexus amantium: nodo d’amanti.

Ave, donna nuova,
rosso roseto,
vergine in fiore,
intreccio agli amanti
e nodo d’amore:
ascolta dei tuoi Servi la nuova melodia.

Fede è una offerta di solarità, quasi un reincantare la vita.

1 Ch. Yannaras, Variazioni sul Cantico dei cantici, Interlogos, Schio (VI) 1994, p. 25.