Sono cieco quando vado alla ricerca di segni e miracoli e non vedo il miracolo vero e unico, il miracolo della vita. Sono cieco che non vedo la mia cecità, per questo non mi lascio illuminare dalla Luce che viene nel mondo: sono convinto di non averne bisogno. Sono cieco che vuole dire agli altri come funzionano le cose e cosa bisogna fare per risolvere il problema: è il tempo in cui dovrei frenare la lingua che è, come ci ricorda san Giacomo, come il timone della vita e invece preferisco darmi alla logorrea perché se parlo sono, se sto zitto non esisto. Per questo mi ritrovo cieco che vuole insegnare la sapienza a chi non è disponibile ad accoglierla: io!
La sapienza che posso incontrare ai crocicchi delle strade è dono che viene dall’alto mentre cammino. Il saggio ascolta il rimprovero e ringrazia, molti altri no. Dice il libro dei Proverbi: “Chi corregge il beffardo se ne attira il disprezzo, chi rimprovera l’empio se ne attira l’insulto” (Proverbi, 9). Continua il libro dei Proverbi dicendo: “Non rimproverare il beffardo per non farti odiare, rimprovera il saggio ed egli ti amerà”. Il rifiuto del rimprovero e della critica già dice chi sono; l’accoglienza della stessa mi dice che sto camminando disponibile a vedere la sapienza ai crocicchi delle strade che mi indica il cammino e mi mostra ciò che cammino non è.
Il cieco di oggi sono io quando vado alla ricerca di segni e quando cerco i pani per assicurarmi il futuro, non accorgendomi del Pane vivo che è sulla barca della mia vita. Il cieco sono io che non vado alla ricerca della luce perché convinto di bastare a me stesso e di non avere bisogno di illuminazioni. Il cieco di oggi mi dice che ho bisogno di altri che mi facciano vedere la mia cecità e mi conducano a chi può donarmi vista e luce. Le mie difficoltà a vedere distintamente le cose non sono motivo di scandalo, sono invece motivo per lasciarmi condurre. Io cieco guarito sono chiamato ad essere persona di fede che conduce per mano altri ciechi come me a chiedere il dono della luce, il dono della vita.
Io, che come questo cieco non balzo in piedi per andare da Gesù a chiedere luce. Io, come questo cieco, ho bisogno di altri che mi conducano a lui. Io, come questo cieco, non chiedo guarigione. Sono talmente cieco da non vedere neppure la mia cecità: più stoltezza di così. Un segno di questa mia stoltezza è dato dal non accettare che altri mi conducano a Gesù: ci prendiamo gioco di loro e li sbeffeggiamo, quando addirittura non li odiamo. Tutto questo mi parla della mia cecità che io rifiuto ribaltandola sugli altri, su coloro che cercano luce con me e per me, per noi. Altri chiedono per me a Gesù di toccarmi: lo accetto? Questo cieco no. Si lascia portare perché non ne può fare a meno, non ne è convinto. La sua non convinzione emerge molto bene nella fatica a ritornare alla luce.
Questo rivela l’accecamento in cui spesso cado anche io. Accecamento che si manifesta come sfiducia in Gesù e in me stesso. Fino a che io cieco, non cedo all’azione di fiducia in Gesù che va di pari passo con l’accettazione di essere cieco, con la convinzione di essere cieco, io non potrò che odiare chi mi conduce da Gesù e Gesù stesso tacciandolo di essere un grande stregone incapace di fare opere miracolose quando servono e come si deve.
Questo cieco non ha nome: sono io! Noi siamo ciechi. Noi siamo chiamati a vedere, a scorgere la nostra poca fede che si affida alla richiesta di segni. Ad accorgerci di quanto ciechi siamo nel non vedere, nel non mangiare, nel non condividere, il Pane di vita che vive in noi e in mezzo a noi, che è sulla nostra stessa barca, che incontriamo ai crocicchi delle strade, se solo accettiamo di rimetterci in cammino.
Vedere la nostra cecità che si manifesta nell’essere dei dimenticoni che ascoltano la Parola ma poi, come uno che si guarda allo specchio e poi se ne va dimentico del suo stesso volto, la dimenticano e non la vivono. Mangiamo del buon Pane ma non ci interessa camminare, preferiamo starcene seduti sul divano ad ingrassare. Ci riempiamo di cose e perdiamo il bene che rende bella la nostra vita.
Ma cosa dobbiamo fare ed essere allora, se vogliamo ritornare alla vita? Ce lo dice Giacomo nella sua lettera: “Religione pura e senza macchia davanti a Dio è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze” (1, 27), niente più. È tempo che riconosciamo chi salva una vita come uno illuminato, anche se non ha molti riscontri sociali. È tempo che accogliamo chi rinuncia all’aborto come un dono il cui frutto noi siamo chiamati a curare. È tempo di vedere il miracolo dei nonni che rendono ancora possibile la nascita di vite in mezzo a noi, cosa che non sarebbe possibile a causa dei riccastri che dominano le nostre società e schiavizzano tanti e tante in ritmi indecenti e disumani.
Vedere un padre e una madre, un nonno ed una nonna, che coccolano il loro nato, mi commuove. Non mi commuove incontrare dei bianchi per strada: camminano solo col loro cane al guinzaglio. Mi commuove incontrare delle belle straniere prosperose: parlano fra di loro e conducono per mano dei bei bimbi. Mi commuove la vita!
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
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l cieco fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa.