NEL BACIO TRINITARIO – L’apertura trinitaria del bacio nel Cantico dei Cantici meditato da Bernardo di Chiaravalle

1894
“…mi baci coi baci della sua bocca…” libera interpretazione di uno dei versi del Prologo del Cantico dei cantici Opera di Rosa Soravito

Bernardo di Chiaravalle utilizza l’immagine del bacio per esprimere Dio nel suo ritmo trinitario. Innanzitutto questo saggio contestualizza le occorrenze del bacio nella Bibbia, in particolare nel Cantico dei Cantici. Nel meditarlo, Bernardo invita ad accostarsi a Gesù con un triplice bacio: ai suoi piedi, alle sue mani e alla sua bocca. Ciò permette di leggere la Trinità economica come un bacio tra la natura divina e quella umana, e la Trinità immanente come il baciante, il baciato e il bacio stesso, preservando rapporti di identità e distinzione. L’immagine implica un coinvolgimento intimo più incarnato rispetto alla metafora di Agostino d’Ippona: amante, amato e amore. Inoltre per la teologia trinitaria è più significativa rispetto ad altre esperienze di bacio mistico con Dio, eppure i testi raramente la menzionano. Bernardo mostra come confessando l’alterità si possa assaggiare qualcosa dal supremo bacio: si aprono prospettive trinitarie per leggere anche le relazioni umane.

A cura di Piotr Zygulski[1] – Articolo apparso su Encontros Teológicos, Florianópolis, V.33, N.3, Set-Dez 2018, pp. 603-618. CC BY-NC 4.0

[1] Laurea Triennale in Economia e Commercio (L-33), Università degli Studi di Genova, 2016. Laureando Magistrale in Fondamenti e Prospettive di una Cultura dell’Unità, specializzazione Ontologia Trinitaria, Istituto Universitario Sophia, Loppiano (Firenze), 2018 e Laureando Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni (LM-57), Università degli Studi di Perugia, 2018.

1.  IL BACIO NELLA SACRA SCRITTURA

Il bacio ha da sempre numerose sfaccettature, alcune delle quali vanno ricercate nelle concezioni di tipo animista presente nei culti antichi orientali, dove il bacio era tributato entrando nel tempio, poi sull’altare e infine all’effige divina, o ai piedi del sovrano divinizzato; si tratta di un gesto che comunque risultava più un privilegio che non un onore dovuto. Un bacio sulla bocca o sul naso poteva trasmettere l’anima, cioè il soffio vitale; come segno di rispetto il bacio riguardava “le mani, i piedi, poi il petto e le ginocchia”[1], magari per ottenere doni come guarigioni o forza. Inoltre il bacio poteva essere di tipo sostitutivo, se rivolto ad un oggetto che ha un legame con la persona, oppure inviato a distanza, o per terra, soprattutto se la persona è troppo lontana da raggiungere. Spesso, ad esempio per molto tempo nella grecità classica, non era presente alcun significato erotico o amoroso nel baciare; quando subentrerà questa accezione, il bacio riguarderà allora labbra e bocca.

In ebraico la parola che designa il baciare è nashaq (נָשַׁק), presente al numero 5401 del dizionario di James Strong: “Una radice primitiva (identica a 5400 [נָשַׂק, nasaq = bruciare], attraverso l’idea del legarsi […]); baciare, letteralmente o figurativamente (toccare); anche (un modo di attaccamento) equipaggiarsi con armi: – (un uomo) armato, governare, baciare, essere toccato”[2]. È un termine che ha quindi delle strette parentele con nesheq (נֶשֶׁק, 5402, equipaggiamento militare), pur con una vocalizzazione differente. Luis A. Schökel sottolinea anche l’accezione (secondaria) di obbedienza e sottomissione di cui nashaq è carico[3]; mentre David Clines riporta cinque significati: baciare, essere equipaggiato, essere agli ordini, sigillare (le labbra), acconsentire[4]. Lo stesso volume inserisce alla voce nesheq anche il significato sporadico di “profumo”, presente in svariate lingue mediorientali, come segnalano il dizionario persiano/arabo di Joseph Barretto Jr.[5] e quello hindustani (urdu) di John Shakespear[6], il quale esplicita due significati per nashā: liquore inebriante, fragranza; è probabile una relazione con neshamah (נְשָׁמָה, 5397) che significa alito, soffio, respiro, spirito. In arabo il verbo نَشِقَ (našiqa) è riferito all’inalare e all’odorare.

Il termine nashaq ricorre 35 volte nella Bibbia, prevalentemente con significati legati al baciare (30), seguiti dall’armarsi (3), governare (1) e toccare (1); in Genesi compare ben 11 volte. In altri passi – benché non impieghino la radice nashaq – vi potrebbe essere qualche retaggio di un bacio “animistico” (cfr. Gn 2,7 e 2Re 4,34), ma nel Primo Testamento sono presenti “praticamente tutti i tipi di bacio […]: come manifestazione di affetto tra parenti e amici; come onore reso a personaggi di una certa importanza; come bacio erotico, che avrà nella Bibbia un ruolo notevole; con valore di saluto e commiato, che era di uso comune. Altri possibili impieghi del bacio sono legati alla sua efficacia come prova di avvenuta riconciliazione, come conferma di un’adozione o di una benedizione […] il giudaismo avrà però una valutazione negativa o perlomeno molto prudente nei confronti del bacio”[7], anche per il timore di fraintenderlo come una forma di idolatria pagana (come i baci alla statua di Baal in 1Re 19,18). Nella maggior parte dei casi si tratta di baci tra persone adulte, dello stesso sesso, normalmente unite da legami di famiglia. Per portare alcune immagini: Esaù bacia Giacobbe (Gn 33,4), Mosè bacia suo suocero (Es 18,7), Giuseppe bacia i fratelli (Gn 45,15) e il padre in punto di morte (Gn 45,15), Noemi bacia le nuore Orpa e Rut (Rt 1,9), David e Gionata si baciarono (1Sam 20,41), Davide baciò Assalonne (2Sam 14,33). In senso figurato, si può contemplare il bacio tra giustizia e pace nel Salmo 84,11. È da menzionare per giunta il bacio che Dio stesso dà all’israelita – tradizionalmente lo si dice per Mosé, che morì lett. “sulla bocca di JHWH” in Dt 34,5 – da intendersi quale eufemismo per spirare, come se Egli a-spirasse dalla bocca dell’uomo l’ultimo respiro di un corpo mortale. Se si eccettua il bacio dell’adultera sfrontata al giovane ingenuo (Pr 7,13), solamente nel Cantico dei Cantici i baci sono passionali.

Nei vangeli, dove i baci sono meno frequenti, restano privi di connotazione erotica. In Luca si parla del padre misericordioso che si mise a baciare (καταφιλέω, kataphileo, 2705, lett. “mostrare molto affetto”) il figliol prodigo (Lc 15,20); inoltre si riscontra il bacio (φίλημα, philema, 5370, lett. “segno di affetto”) della peccatrice come esternazione di onore, accoglienza e pentimento (Lc 7,45) o di un commiato colmo di gratitudine in At 20,37. “Da questa prospettiva il bacio di Giuda, rientrando nella prassi del discepolo che rende onore al maestro – e questo veniva compiuto sia all’incontro sia al commiato – non sarebbe dovuto apparire ai presenti come un’azione anomala”, rileva Franco Boscione[8]. Nonostante questo tragico e ambiguo aspetto, i primi seguaci di Gesù continueranno a salutarsi tra loro fraternamente con il “bacio santo” (άγιος φίλημα, hagios philema) di pace, frequente nelle epistole neotestamentarie (es. Rm 16,16), che implica – spiega Ellington – “un abbraccio reciproco e toccando le guance sul lato destro e sinistro, e possibilmente anche sfiorando la guancia dell’altra persona con la guancia”[9]. Lo stesso autore invita a tradurre la parola “bacio” ponendo grande attenzione ai differenti contesti in cui si trova all’interno della Bibbia; tenendo presente le sensibilità culturali del lettore, in alcuni casi la traduzione più generica “abbraccio” può essere opportuna, tuttavia andrebbero evitate le attualizzanti rese come “strette di mano”, et similia.

1.1. IL BACIO NEL CANTICO DEI CANTICI

Nel Cantico dei Cantici un “bacio” si ritrova anche nel capitolo 8 (Ct 8,1), ma l’espressione sulla quale vorrei porre l’attenzione è subito dopo il titolo, il quale oggi costituisce il primo versetto[10]. La sposa esordisce: “Mi baci (יִשָּׁקֵ֙נִי֙) con i baci (מִנְּשִׁיקֹ֣ות) della sua bocca (פִּ֔יהוּ)!” (Ct 1,2). Il primo verbo è nella forma semplice (qal) al tempo imperfetto, in questo caso assume un senso ottativo, che può essere reso con il congiuntivo italiano. Una traduzione in lingua italiana alternativa a quella della CEI presentata poc’anzi è: “Che lui mi baci con i baci della sua bocca” (TILC); la Settanta rende il primo verbo all’aoristo attivo imperativo, alla terza persona singolare: φιλησάτω με (filesato me), così fa anche la Nuovissima Versione (ed. San Paolo): “Baciami con i baci della tua bocca”, alla seconda persona singolare, per essere ancora più diretti. Bernardo di Chiaravalle leggeva la Vulgata: “Osculetur me osculo oris sui”.

Gli studiosi tendono a riconoscere una certa autonomia dei primi versetti rispetto al componimento – foriero di abbondanti problematicità esegetiche – sul quale si consumavano interpretazioni allegoriche (Dio e il suo popolo), drammatiche e mitologico-cultuali (celebrazione di nozze sacre), mentre alla luce degli studi storico-critici risulta come una “collezione di canti d’amore”[11], forse in parte composti da donne, nati in un contesto profano, la cui unitarietà della redazione complessiva finale è dibattuta. Non solo le traduzioni successive ma pure il testo ebraico masoretico del Cantico che ora possediamo pare aver subito processi di de-erotizzazione mediante piccoli interventi testuali. Questi, sebbene abbiano mantenuto il senso poetico amoroso, ne hanno scalfito in parte la carica espressiva; si pensi ad esempio al testo della Settanta che con “camera” allude alla stanza nuziale, mentre il testo ebraico lo rende al plurale, operando una risemantizzazione: al plurale, infatti, significa “magazzino”; letta nel suo contesto, sembra ancora più plausibile che la sposa venga condotta al talamo anziché in uno scantinato[12]. La sposa alterna invocazioni a “lui” (allo sposo regale) e al “tu” (direttamente all’atto sessuale), seppur in modo assai più elegante rispetto al lessico di Ez 23,20; “va letto comunque come un’appassionata esaltazione dell’amore fisico, espresso in termini allusivi ma inequivocabili”, ove ciò che è decantato “non è il sentimento dell’amore con la sua realizzazione fisica, ma l’idea dell’amore nella sua fisicità”[13]. I baci iniziali introducono così all’evocazione dell’amplesso. Gianfranco Ravasi riscontra “una raffinata “onomatopea” del bacio, ritmata su un gioco di sibilanti e con un vocabolo (pîhû, “sua bocca”), la cui pronuncia costringe le labbra a porsi nell’atteggiamento del bacio […] La ripetizione crea una sorta di superlativo, di intensità nel bacio”[14]. Al contempo, inserito nel Canone biblico, il Cantico dei Cantici può offrire in termini assolutamente incarnati nella realtà umana un’elevata teologia che vive l’esperienza del desiderio di una profonda comuni(cazi)one personale tra Israele e il Mistero divino, di per sé inesprimibile. Resta un tema dibattuto se l’allegorizzazione sia avvenuta prima o dopo l’ammissione nella Sacra Scrittura; nondimeno, gli esegeti invitano a non contrapporre la lettura “profana” a quella “allegorica”: anziché escludersi, le due si arricchiscono vicendevolmente[15].

2.  IL BACIO TRINITARIO DI BERNARDO DI CHIARAVALLE

2.1. IL TRIPLICE BACIO MISTAGOGICO

Molti secoli dopo i commenti patristici di Origene e san Gregorio di Nissa, nel Medioevo è san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) a dedicare i suoi primi Sermones in Cantica Canticorum, scritti nel 1135, a quel prorompere iniziale del componimento, con il suo entrare così d’improvviso nel bel mezzo del discorso[16]. Anche qui, come nel De diligendo Deo, il Dottore Mellifluo invita a camminare sulla via caritatis, già considerata da Agostino d’Ippona la “via regale per la conoscenza di Dio Trinità”[17]. Il percorso che propone Bernardo è pedagogico; o, per meglio dire: mistagogico. Se ai comuni cristiani si offre il latte, a chi è più avanti nel percorso spirituale[18] si offre il pane solido; solamente al termine si giunge al Cantico, che è il terzo pane[19], da spezzarsi dopo la lettura dell’Ecclesiaste (Qoelet) che insegna la vanità del mondo fisico e dopo quella delle Parabole (Proverbi) che insegna la virtù etica che vince l’egoismo individuale. Bernardo scorge nelle prime righe un nesso tra il nome Salomone, che significa “pacifico”, al quale la tradizione attribuisce il Cantico, e il bacio quale segno di pace.

Dopo aver parlato dell’incarnazione nel secondo sermone, che riprenderò nel paragrafo successivo, nel terzo Bernardo propone un cammino da leggersi “nel libro dell’esperienza”[20]. Esso si articola in tre fasi, allegorizzate ulteriormente nei sermoni successivi. Nella prima, ad imitazione della penitente del vangelo di Luca, invita a prostrarsi umilmente a terra, ad abbracciare i piedi di Gesù riempiendoli di baci, irrigandoli di lacrime affinché lavino l’anima; è l’inizio della conversione e spetterà a Lui perdonare i peccati, soprattutto quelli di superbia. I due piedi rappresenterebbero la misericordia e la giustizia, e ambedue l’umanità di Gesù. Segue un secondo “gradus”, perché è conveniente progredire paulatim, poco alla volta: la bocca potrebbe essere ancora sporca di polvere[21], quindi è bene “osculare manum”, baciare la mano di Gesù, per dare gloria al Suo nome; va baciata quella mano che solleva ed elargisce i doni necessari per condurre alla speranza delle cose più sublimi. Più precisamente, la prima mano distribuisce con larghezza, mentre l’altra difende con fortezza ciò che ha donato; come i servi baciano i piedi dei padroni, i poveri baciano le mani dei ricchi benefattori. Dopo aver preparato le nostre labbra – “la ragione dell’intelligenza e la volontà della sapienza”[22] – si giunge finalmente alla terza fase, dove forse si potrà osare, spaventati e tremanti, avvicinare la testa alla stessa bocca della gloria, per baciarla e non solo contemplarla, aderendo in un bacio santo a Cristo, che ci vuole uniti a lui nel medesimo Spirito[23]. Dio infatti possiede le parti del corpo “per effectum, non per naturam”[24] e si offre nella carne per chi sa gustare solo quella, affinché impari ad apprezzare anche lo spirito[25]; qui si entra nella dinamica dell’economia della salvezza.

2.2. IL BACIO DELLA TRINITÀ ECONOMICA

In estrema sintesi: il Verbo di Dio è la bocca baciante; la natura umana è colei che riceve il bacio; Cristo Gesù, mediatore di Dio e degli Uomini, dunque, riunisce nel bacio in sé entrambi gli aspetti[26]; tale bacio è dato singolarmente e definitivamente come un’unione corporale di tutta la pienezza della Divinità con l’umanità di Cristo, pacificando cielo e terra in un patto perpetuo. Il pensiero di Bernardo entra nell’attesa del Primo Testamento, carica del desiderio di ricevere il bacio dai baci della bocca di Dio:

Non siano vane le parole che escono dalle sue labbra; si svuoti, si umili, si chini, e mi baci con il bacio della sua bocca. Affinché giustamente il mediatore non sia sospetto ad alcuna tra le parti, il Dio Figlio di Dio diventi uomo, diventi figlio dell’uomo, e me ne dia certezza in questo bacio della sua bocca. Accolgo senza timore come mediatore di Dio il Figlio, che riconosco essere anche il mio. Non mi sarà mai più sospetto: è infatti mio fratello e mia carne. Penso infatti che non potrà più disprezzarmi, ossa delle mie ossa, e carne della mia carne[27].

Sottolineerei il termine exinaniat utilizzato per indicare la kenosi, lo svuotarsi, presente nella Vulgata in vari passi della Scrittura. Innanzitutto “donec te exinaniat bis et ter”, “finché non ti avrà spremuto due o tre volte” (Sir 13,7), poi ”exinanita bibent”, “fino alla feccia ne dovranno sorbire” (Sal 74,9), “exinanite exinanite usque ad fundamentum”, “distruggete, distruggete anche le sue fondamenta” (Sal 136,7), “exinanita est fides”, “la fede è resa vana” (Rm 4,14). Il riferimento principale sembra essere con maggiore probabilità quello neotestamentario a Filippesi 2,7: “semet ipsum exinanivit”, che traduce il greco έαυτόν έκένωσεν forse in modo più efficace rispetto al testo CEI “spogliò se stesso”. Curioso poi il riferimento a Gn 2,23, con l’espressione “ossa delle mie ossa e carne della mia carne” pronunciata dall’uomo di fronte alla donna, e in questo caso da Bernardo di fronte a Gesù, per rimarcare ulteriormente l’aspetto ad un tempo carnale e sponsale del “bacio economico”. La sua “Parola viva ed efficace” è un vero e proprio bacio – non una semplice congiunzione di labbra per fingere la pace – che riempie di gioia, rivela i misteri, mescola straordinariamente in un certo qual modo la Luce suprema e la mente illuminata[28]. È un bacio che viene implorato dall’anima, che se da un lato chiede non la bocca, bensì più umilmente un bacio, dall’altro sa e specifica la provenienza: “dalla sua bocca”; non è tuttavia necessario nominare l’amato per nome, perché quando si è innamorati si pensa esclusivamente a colui che si desidera e si dà per scontato che gli altri sappiano chi è, visto che lo si frequenta spesso[29]. A questi “altri” – Bernardo pensa agli angeli – ed esplicitamente non allo sposo, sempre per discrezione, l’anima si rivolge, proprio come quando si cerca attraverso gli amici intimi di entrambi l’accesso alle cose intime per raggiungere ciò che si desidera[30], vale a dire il sommo bacio da colui che ama. Chi ha ricevuto tale dono conserva il desiderio di ripetere tale esperienza; nessuno può sapere cosa sia, se non chi la fa, osserva Bernardo[31]. Possiamo però riconoscere gli effetti quando sull’uomo viene riversata la luce della scienza e il sapore della grazia, vissuti sempre congiuntamente nell’amore: se una persona chiede un bacio, sappiamo che ama; una delle grazie che vive chi è baciato è la comunione: “per entrambi un’unica eredità, un’unica mensa, un’unica casa, un unico letto e un’unica carne”[32].

Il Dottore Mellifluo afferma che il soffio dello Spirito ricevuto alla Pentecoste “fu certamente un bacio”[33]; questo ci introduce alla Trinità immanente, tenendo sempre presente che un conto è il bacio dal bacio, che un uomo accoglie dalla pienezza (plenitudo) della realtà divina, alla quale accede per participatio, un altro è invece ricevere il bacio direttamente dalla bocca, che è la pienezza[34]. Malgrado ciò, nello Spirito del Figlio l’anima ha modo di riconoscersi come figlia dello stesso Padre che la ama quanto il Figlio, del quale è sorella, oltre ad essergli anche sposa, in quanto vive nel medesimo Spirito che congiunge i due; così l’uomo vive l’invito del Padre che esorta la figlia/nuora ad accedere ai piacevoli amplessi del Figlio[35]. La dinamica trinitaria è quindi dischiusa dallo Spirito Santo che “dando revelat, et revelando dat”[36]; in quello Spirito si rivela all’anima anche il Padre e il Figlio, e la bontà di entrambi, che è lo stesso Spirito.

2.3. IL BACIO DELLA TRINITÀ IMMANENTE

Il termine osculum – utilizzato da Bernardo per designare il bacio – tradisce l’etimologia: deriva proprio da os, oris, cioè dalla bocca. Nel latino classico si distingueva tra suavium, basium e osculum; se il primo era di tipo erotico-passionale, il basium era quello dell’affetto, mentre l’osculum venne poi letto cristianamente come quello corrispondente all’agape, pur conservando la radice os- che lo lega intimamente alla bocca. Per l’abate di Chiaravalle che medita le prime parole del Cantico alla luce della fede trinitaria cristiana il bacio della bocca è l’essere il Figlio nel Padre e il Padre nel Figlio; tra essi il bacio avviene “bocca a bocca”[37]. La loro conoscenza reciproca – il loro amore – è da chiamarsi bacio, “segretissimo, ma soavissimo”[38]. Danzando al medesimo ritmo del De Trinitate di Agostino, per il quale vige “l’analogia dell’amante, dell’amato, dell’amore”[39] – detta altrimenti “del suo essere, della conoscenza con cui esso si conosce, e dell’amore con cui si ama”[40] – Bernardo contempla il Padre che bacia, il Figlio che è baciato e lo Spirito che è il bacio stesso[41]. Convertendoci verso l’alto, sebbene non riusciamo a raggiungere il volto di Dio, a nostra volta ci disponiamo ad essere baciati da tale bacio; e in esso, grazie alla condiscendenza incarnata del Figlio che lo vive, si rivela il bacio della pericoresi trinitaria. Nell’amore perfetto si ha anche conoscenza perfetta; con l’usuale verecundia, Bernardo lo pone apofaticamente, al negativo: “Non si conosce pienamente se non quando perfettamente si ama”[42].

3.   RECEZIONE E CONCLUSIONI

Nella tradizione francescana è stato il beato Giovanni della Verna (1259-1322) – presbitero dell’Ordine dei Frati Minori, la cui esperienza mistica è narrata al capitolo XLIX dei Fioretti di san Francesco – ad aver vissuto, incontrando Cristo ai piedi di un faggio, nel bosco del monte Penna de La Verna, dove viveva in una cella di frasche, “i tre gesti dell’amore, famosi nella letteratura spirituale della mistica medievale, specie di san Bernardo e dei Vittorini, e poi della devotio moderna. Questi gesti esprimono plasticamente la “triplice via” nell’immagine del bacio dei piedi, bacio delle mani e bacio della bocca, qui variato nel bacio del costato, nell’abbraccio sponsale a Cristo sposo dell’anima”[43]. Dall’esperienza di Dio Creatore, Giovanni ricevette la conoscenza della relazione tra creatura e Creatore, che è “sopra e dentro e di fuori e dal lato a tutte le cose create”; conobbe la Trinità, la misericordia dell’incarnazione e il “cosiddetto cristocentrismo trinitario francescano”[44]. Piedi, petto, cuore, bocca è invece l’itinerario del bacio mistico proposto da santa Caterina Fieschi Adorno da Genova (1447-1510)[45], impegnata nella cura degli ammalati, autrice del Trattato sul Purgatorio e – come Bernardo – con una spiritualità centrata sulla lotta all’amor proprio per amare di Dio senza alcun tornaconto. Il bacio di Cristo, talvolta associato alle nozze mistiche, è presente in molti altri autori, con sfumature forse meno marcatamente trinitarie, dai carmelitani ai domenicani passando per i certosini, ma pare più ricorrente in ambiente francescano (es. santa Caterina da Bologna, san Maksymilian M. Kolbe).

Nell’Ottocento, come ravvisa Giuseppe Tanzella-Nitti in un suo studio monografico, fu il mistico tedesco Matthias Joseph Scheeben a rileggere i Sermones di Bernardo; da questi trasse la metafora del bacio sponsale quale “vincolo fra il Figlio-Sposo e la creatura-sposa”, con il Figlio che spira alla creatura un bacio, e nel medesimo bacio essa risponde, “assimilandosi a Lui in un solo Spirito”[46].

Jean Leclerq parla di “eccezionale precisione”[47] in riferimento a come Bernardo sviluppò la metafora del bacio. Inos Biffi ne ammira l’”originale e fantasiosa creatività”, evidenziando come il sospiro del bacio rappresenti innanzitutto il “desiderio dell’incarnazione del Verbo”, per poi risalire con grande suggestione dalla cristologia alla trascrizione della “stessa intima vita trinitaria”; ciò inaugura un’antropologia della grazia del dono desiderato e dell’ascesi verso l’intimità con lo Spirito e il Verbo: “E così la Trinità diventa esperienza, e l’esperienza condizione di affinità e di comprensione”[48].

Probabilmente lo studio più completo che approfondisce la metafora del bacio nel pensiero trinitario di Bernardo, generalmente non studiato in modo sistematico, è la tesi di dottorato di Michael Stickelbroeck, pubblicata in tedesco con il titolo Mysterium venerandum. Nel recensire questo volume per La Civiltà Cattolica, Giuseppe Ferraro indica che nel terzo capitolo l’autore centra l’esposizione sullo Spirito nell’immagine del bacio reciproco tra Padre e Figlio. La metafora, forse implicita in alcuni Padri della chiesa, viene esplicitata per la prima volta da Bernardo; ogni aspetto ha una rigorosa correlazione teologica: unità, distinzione, uguaglianza tra le persone, oltre all’evento eterno trinitario nascosto cui corrisponde il visibile evento dell’alitare. Passando dalla Trinità immanente alla Trinità creata, in una sezione successiva del volume Stickelbroeck studia l’immagine trinitaria dell’uomo che assiste all’apertura di Dio nella missione del Figlio – che rivela il Padre comunicando lo Spirito – e nella missione dello Spirito, in opera nell’incarnazione del Figlio e nella vita umana. Sia per gli aspetti “comunicativi” della Trinità, sia per l’approccio “personalistico”, il recensore giunge alle conclusioni che il pensiero di Bernardo possa oggi “suscitare viva attenzione”[49].

Sfogliando i trattati di teologia trinitaria, chi pone in risalto i Sermones di Bernardo è Battista Mondin, quando nota come per l’abate di Chiaravalle lo Spirito Santo sia “inseparabilmente rivelazione del Padre e del Figlio, colui che li rivela e che viene rivelato mediante il Figlio”; “finissime” – a detta di Mondin – sono le riflessioni di Bernardo sul bacio: un’”ammirabile immagine” che ha consentito all’abate di Chiaravalle di sviluppare la propria “concezione agapica della Trinità”[50]. Luis F. Ladaria Ferrer accoglie nel suo manuale due affermazioni di Bernardo. In una riporta la citazione che Benedetto XVI pronunciò più volte, a partire proprio dal Commento al Cantico dei Cantici: “San Bernardo diceva che Dio è impassibile, ma non incapace di compatire”[51]; l’altra è una riflessione che affonda le proprie radici nel De diligendo Deo, ove è il vincolo dell’amore a conservare la Trinità in unità[52]. Alberto Cozzi accenna a Bernardo solo in riferimento alla sua contrarietà rispetto alle tesi della teologia dialettica di Abelardo e di Gilberto di Poitiers[53]. Piero Coda, infine, da Bernardo riprende un’affermazione dal De gradibus humilitatis et superbiae: “quod [Verbum] ab aeterno sciebat per divinitatem, hoc aliter [temporali] didicit experimento per carnem”[54], probabilmente su suggestione di Klaus Hemmerle[55].

Con la sola eccezione di Mondin, questi testi di teologia trinitaria sembrano non essere consapevoli della profondità dell’osculum di Bernardo, che pacifica economia e ontologia, mistica e teoresi, propiziando la fecondazione di ulteriori campi di ricerca, come ad esempio un’antropologia trinitaria che possa gustare l’accadere del bacio tra persone umane. Un bacio che, come rileva Robert Cheaib, è il divenire contatto, carne e comunicazione della Parola; erotizzando lo spirito e spiritualizzando la carne, supera il bisogno verso il desiderio, vince la logica del consumo e confessa l’alterità in modo assoluto, perché non è possibile auto-baciarsi[56]. Per concludere, il bacio è ad-orazione: preghiera, desiderio, e accostamento di labbra, carnalissime labbra. Ad-orare, quindi, portare alla bocca; come l’uomo prega Dio di aprirgli le labbra perché possano essere piene della Sua lode (cfr. Sal 51,17), così anche Dio desidera che il suo popolo spalanchi la bocca (cfr. Sal 81,11) – “amando”[57], esplica Agostino – per colmarla della sua stessa vita promessa eternamente nell’Alleanza. Questa doppia dinamica è appunto il bacio, che non può prescindere dalla carnalità della bocca; la quale si può aprire per-orando l’accostamento delle labbra, per custodire ciò che di fragile viene accolto – come la leonessa r-accoglie teneramente i cuccioli tra le sue fauci – ma è sempre esposta al tradimento quando si tramuta in un egoistico div-orare o in un vomitare. Se, come ha mostrato anche Bernardo, è possibile assaggiare qualcosa del supremo bacio confessando l’alterità dell’Altro, a maggior ragione è possibile gustarlo – purché vissuto nel medesimo spirito che trasfigura le relazioni umane – pure quando ci si scioglie pienamente, anima e corpo, in un bacio con l’altro: l’uomo o la donna amata.

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[1] BOSCIONE, Franco. I gesti di Gesù: la comunicazione non verbale nei Vangeli. 2. ed. Milano: Ancora, 2017, p. 50.

[2] STRONG, James. Strong’s exhaustive concordance of the Bible. 4. ed. Peabody (MA): Hendrickson, 2011, p. 1453.

[3] SCHÖKEL, Luis A. Dizionario di ebraico biblico. Cinisello Balsamo: San Paolo, 2013, p. 574.

[4] CLINES, David J.A. (ed.), The dictionary of classical Hebrew. Sheffield: Phoenix Press, 2011. v. 5, p. 780-781.

[5] BARRETTO, Joseph Jr. A dictionary of the Persian and Arabic languages. 2. ed. Calcutta: Greenway-India Gazzette Press, 1806, p. 845.

[6] SHAKESPEAR, John. A dictionary: Hindustani and English. 3. ed. London: Parbury, Allen & Co., 1834, p. 1773.

[7] BOSCIONE, 2017, p. 51.

[8] BOSCIONE, 2017, p. 52.

[9] ELLINGTON, John. Kissing in the Bible: form and meaning. The Bible Translator, v. 4, n. 41, p.409-416, 1990, p. 413.

[10] “Il titolo del Cantico non sempre fu considerato parte integrante del testo, come nel TM e nei LXX, esso mancava originariamente nel siriaco e nella Volgata nonché nella revisione esaplare di Girolamo”, afferma GARBINI, Giovanni (ed.) Cantico dei Cantici. Brescia: Paideia, 1992, p. 25.

[11] SCHWIENHORST-SCHÖNBERGER, Ludger. Il Cantico dei cantici. In: ZENGER, Erich (ed.) Introduzione all’Antico Testamento. 3. ed. Brescia: Queriniana, 2013, p. 647.

[12] GARBINI, 1992, p. 172-180.

[13] GARBINI, 1992, p. 182-183.

[14] RAVASI, Gianfranco. Il Cantico dei Cantici: commento e attualizzazione. Bologna: EDB, 1992, p. 151.

[15] SCHWIENHORST-SCHÖNBERGER, 2013, p. 658.

[16] “Ita subitaneum, et factum repente de medio sermonis exordium”. BERNARDO DI CHIARAVALLE. Sermones in Cantica canticorum. PL 183, I,5.

[17] CODA, Piero. Dalla Trinità: l’avvento di Dio tra storia e profezia, Roma: Città Nuova, 2011, p. 17.

[18] “Provectae jam et eruditae mentis”. BERNARDO, I,12.

[19] “Splendidus sapidusque […] tertium hunc panem”. BERNARDO, I,1-2.

[20] Bernardo, III,1.

[21] “Respersus pulvere”. BERNARDO, III,4.

[22] BERNARDO, VIII,6.

[23] BERNARDO, III,5

[24] BERNARDO, IV,4.

[25] BERNARDO, VI,3.

[26] “Sit os osculans, Verbum assumens; osculatum, caro quae assumitur: osculum vero, quod pariter ab osculante et osculato conficitur, persona ipsa scilicet ex utroque compacta, mediator Dei et hominum homo Christus Jesus”. BERNARDO, II,3.

[27] “Ut quae procedunt de labiis suis, non faciat irrita; exinaniat se, humiliet se, inclinet se, et osculetur me osculo oris sui. Ut ex aequo partibus congruens mediator neutri suspectus sit, Deus Filius Dei fiat homo, fiat filius hominis, et certum me reddat in hoc osculo oris sui. Securus suscipio mediatorem Dei Filium, quem agnosco et meum. Minime plane jam mihi suspectus erit: frater enim et caro mea est. Puto enim, spernere me jam non poterit, os de ossibus meis, et caro de carne mea”. BERNARDO, II,6.

[28] BERNARDO, II,2.

[29] BERNARDO, VII,8.

[30] BERNARDO, VII,4.

[31] BERNARDO, III,1.

[32] BERNARDO, VII,2.

[33] BERNARDO, VIII,2.

[34] BERNARDO, VIII,8.

[35] “Blandos amplexus”. BERNARDO, VIII,9.

[36] BERNARDO, VIII,5.

[37] “Ore ad os sumptum”. BERNARDO, VIII,7.

[38] “Secretissimus, sed soavissimus”. BERNARDO, VIII,1.

[39] “Amans, et quod amatur, et amor”. AGOSTINO D’IPPONA. De Trinitate. PL 42, XV,3.5.

[40] CODA, 2011, p. 384.

[41] “Si recte Pater osculans, Filius osculatus accipitur, non erit ab re osculum Spiritum sanctum intelligi”. BERNARDO, VIII,2.

[42] BERNARDO, VIII,9.

[43] CARGNONI, Costanzo. Due e Trecento: alle origini della spiritualità italiana. In: ZOVATTO, Pietro (ed.) Storia della spiritualità italiana. Roma: Città Nuova, 2002, p. 67.

[44] CARGNONI, 2002, p. 68.

[45] GENTILI, Antonio. Istanze spirituali e cultura umanistica nel secolo XV. In: Zovatto, 2002, p. 216.

[46] TANZELLA-NITTI Giuseppe. Mistero trinitario ed economia della Grazia: il personalismo soprannaturale di Matthias Joseph Scheeben. Roma: Armando, 1997, p. 192.

[47] LECLERQ, Jean. La figura della donna nel Medioevo. Milano: Jaca Book, 1994, p. 126.

[48] BIFFI, Inos. La filosofia monastica: “Sapere Gesù”. Milano: Jaca Book, 2008, p. 99.

[49] FERRARO, Giuseppe. Recensione a Michael Stickelbroeck, Mysterium venerandum: der Trinitarische Gedanke im Werk des Bernhard von Clairvaux. La Civiltà Cattolica, v. 2, n. 3501, p. 427-428, 1996.

[50] MONDIN, Battista. La Trinità mistero d’amore: trattato di teologia trinitaria. 2. ed. Bologna: ESD, 2010, p. 175.

[51] LADARIA, Luis F. Il Dio vivo e vero: il mistero della Trinità. Cinisello Balsamo: San Paolo, 2002, p. 479.

[52] LADARIA, 2002, p. 457.

[53] COZZI, Alberto. Manuale di dottrina trinitaria. Brescia: Queriniana, 2009, p. 493, p. 497 e p. 499.

[54] BERNARDO, De gradibus humilitatis et superbiae, PL 182, III,6-10. In: CODA, 2011, p. 105.

[55] HEMMERLE, Klaus. Partire dall’unità. Roma: Città Nuova, 1995, p. 54 e p. 93.

[56] CHEAIB, Robert. Il gioco dell’amore: dieci passi verso la felicità di coppia. Todi: Tau, 2016, p. 51-52.

[57] AGOSTINO D’IPPONA. Enarrationes in psalmos. PL 37, In psalmum LXXX,15.