Il brano evangelico di oggi va letto in stretto legame – e al tempo stesso in contrapposizione – con il vangelo di ieri. Là Gesù aveva trovato fede: “Figlia, la tua fede ti ha salvata!” (rivolto all’emorroissa: Mc 5,34), “Non temere, soltanto abbi fede!” (rivolto al padre della bambina morta: Mc 5,36). Nel brano di oggi Gesù non trova fede, e dunque “non può” compiere miracoli. Là c’era il canto della fede che tutto può, che tutto rende possibile; oggi ci viene presentata la drammatica possibilità del rifiuto, dell’incredulità. Anche gli esempi negativi hanno una forza che interpella, che costringe a interrogarci. L’evangelista Marco si rivolge al lettore, a noi, e ci ricorda che i prodigi di Gesù vengono dalla nostra fede, non sono frutto di magia!
La gente di Nazaret conosce Gesù: l’ha visto crescere, lavorare, andarsene via di casa; ne conosce la famiglia, ritiene di sapere tutto di lui. Ma in realtà nulla ha colto della sua verità profonda: non sa andare oltre il “sangue e la carne”, si ferma al dato esterno, anagrafico. E lo “stupore” (v. 2), che potrebbe evolvere in meraviglia e divenire porta di accesso alla fede, sbocca nel vicolo cieco della perplessità, dell’incredulità. Gesù diviene pietra di inciampo: “era per loro motivo di scandalo”.
“Da dove gli vengono queste cose?”. La domanda è più che mai pertinente: nell’agire di Gesù si nasconde un “da dove?” che dovrebbe portare a interrogarsi sulla sua vera identità. Sapienza (sophía) e prodigi (dynámeis), infatti, dovrebbero indurre a pensare che quest’uomo è da Dio; ma la pretesa di conoscere tutto di lui costituisce per i suoi paesani (e per i suoi familiari!) una valida ragione per non riconoscere in lui un inviato di Dio. Troppo ordinario,troppo umano… È lo scandalo dell’incarnazione.
Ed è la tentazione, che ben conosciamo, di rinchiudere l’altro dentro un orizzonte noto e banale: tentazione di sempre… Non avviene così anche nei nostri rapporti umani? Quanta fatica spesso ad accogliere l’altro nella sua alterità, nel suo “mistero”; e quanta facilità, per contro, a rinchiudere la sua verità dentro una pretesa conoscenza!
No, a Nazaret non può essere celebrata la potenza del credere, non può uscire dalla bocca di Gesù l’esclamazione: “La tua fede ti ha salvata!”. Marco è lapidario: “Non vi poteva compiere nessun prodigio”. Gesù è ridotto all’impotenza. Se il vangelo di ieri mostrava che la fede basta (“soltanto abbi fede”), l’episodio di oggi ci mostra un incontro mancato, proprio perché manca il requisito essenziale: la fede.
Ma il finale del nostro testo si apre su uno squarcio di luce: il rifiuto patito suscita, certo, lo stupore di Gesù, anche la delusione, una sorta di incredulità di fronte alla loro incredulità, ma non lo scoraggia, non lo inibisce, non gli impedisce di proseguire la sua missione. Non è la ricerca del successo a orientare la sua esistenza! Egli continua a porre gesti di vita: le sue mani, rese impotenti dall’incredulità, ora si stendono sul capo di chi ne sa accogliere la forza risanante. Uomo in cammino, sempre aperto a un altrove, Gesù non si lascia paralizzare dall’insuccesso. Eccolo, infatti, percorrere i villaggi d’intorno, insegnando: il suo orizzonte resta sempre l’annuncio del Regno.
fratel Valerio
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