Gesù usa un linguaggio semplice, per farsi capire. Non parla difficile, non usa la teologia, non vuole far sfoggio di cultura come, ahimé, accade a volte dai nostri pulpiti domenicali. Parla di seme ai contadini, di rete ai pescatori, di pulizie alle casalinghe.
E lo fa perché vuole che Dio non sia riservato ad una ristretta cerchia di specialisti del sacro, e lo fa perché gli sta a cuore che ogni uomo sia in grado, se lo desidera, di accogliere l’annuncio della fede. E oggi dice a loro, e a noi, di non essere inquieti: una volta che il seme della Parola attecchisce nel nostro cuore, attecchisce in un luogo, non c’è nulla che possa fermarne la crescita.
Il contadino non si sveglia nel cuore della notte per verificare se la sua pianticella sta spuntando; neppure lui sa bene come, ma il grano cresce spinto da una propria forza interiore. Così è del Regno di Dio in noi; una volta che abbiamo accolto l’annuncio di Dio, questi cresce senza interruzione nelle vicissitudini della nostra vita, come, neppure noi lo sappiamo.
E, come Chiesa, ricordiamoci che non è nei numeri che manifestiamo l’efficacia della presenza di Dio, ma nella verità dei gesti: il Regno, anche se all’inizio è un piccolo seme, diventa un grande arbusto alla cui ombra ci riposiamo.