I pochi versetti che costituiscono questo brano sono come stretti tra due parabole accomunate dalla medesima immagine del seme: il seminatore e i terreni (Mc 4,1-20) e il seme che cresce da solo (4,26-29). Due testi che paiono in tensione tra loro.
Se infatti la parabola del seminatore attribuisce la responsabilità del frutto al terreno e alla sua capacità di accoglienza, quella del seme che spunta da solo lascia a quest’ultimo il merito della crescita, mettendo in ombra il ruolo del terreno. Attraverso questa tensione, l’evangelista sembra dire che certo fondamentali, per la riuscita, sono il terreno e la sua capacità di accogliere, eppure il seme ha in sé una potenza che agisce a volte anche nelle condizioni più improbabili. Mirabile sinergia tra il nostro impegno e la libertà della Grazia!
Al cuore di questo arco di tensione, ecco il nostro brano, che si presenta come un susseguirsi di affermazioni che paiono connesse in modo quanto meno maldestro. Innanzitutto due immagini: una lampada che non può rimanere nascosta (v. 21) e un segreto destinato ad essere rivelato (v. 22); seguite da un’esortazione, che parla di misurare e di ricevere per tenere (vv. 24-25). Tra le due parti, la ripetizione dell’invito ad ascoltare e a fare attenzione: “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!” (v. 23); e: “Fate attenzione a quello che ascoltate” (v. 24). Sia le due immagini, sia l’esortazione finale, sono di una tale ermeticità che si prestano a varie interpretazioni. Di qui il doppio invito ad ascoltare attentamente.
Vari elementi portano a considerare le due similitudini in relazione con la parabola del seminatore. In primo luogo la conclusione con l’invito ad “ascoltare”, che riprende l’inizio della parabola: “Ascoltate, ecco il seminatore uscì a seminare” (4,3). Ma poi anche il senso di queste brevi immagini, che trovano una loro logica a spiegazione della parabola. È come dire: Gesù parla in parabole, ma il suo non è un messaggio destinato a restare velato. La lampada viene, il Regno viene, Gesù viene, per rendere chiaro ciò che è oscuro. Viene nella discrezione di un racconto figurato, ma che pian piano si chiarisce. Viene nella dolcezza di una parola che rispetta la nostra lentezza e che non ci fa violenza, ma quella luce è destinata a farsi luce per tutti. Ad essere messa sul candelabro, al centro della casa, perché tutti la vedano e si vedano tra loro, alla sua luce.
Così anche la seconda similitudine: Gesù viene, il Regno viene, perché ciò che è segreto e non chiaro possa finalmente essere svelato. Ciò che non era chiaro della sua Parola, ma anche delle nostre parole. Quanti enigmi infatti noi attendiamo di comprendere? E soffriamo perché ancora ce ne sfugge il senso? Il Male, ma anche i mali che ci facciamo! Di quante parole dette e ascoltate, di quanti gesti fatti e subiti, attendiamo di conoscere la “verità”! Ebbene, anche su questo l’evangelo promette luce, e così ci consente di portarne il peso.
E intanto? Come vivere questo tempo di attesa, mentre gli enigmi restano ancora tali? Ci risponde l’esortazione finale: misurare con abbondanza, seminare a piene mani, per ricevere a piene mani. Continuare a fare fiducia – alla Parola soprattutto! – per ricevere il frutto della fiducia. Non rimpicciolirsi, per non rimpicciolire la misura che ci sarà donata! E tuttavia Marco aggiunge: “E vi sarà dato di più” (v. 24). Il dono supererà comunque ogni nostra fatica, come dirà la parabola del seme che cresce da solo.
L’evangelo ci esorta, anche nel buio che precede la luce, a restare con i cuori dilatati nell’accogliere la Parola, nell’affidarsi ad essa, perché solo così potremo trattenere (avere) in modo fecondo. Infatti, ci si può anche illudere di avere: “A chi non ha, sarà tolto anche quello che ha” (v. 25). Affermazione enigmatica, ma il cui messaggio è chiaro: a chi trattiene (ha) non con larghezza di cuore, arriva il momento in cui è tolta anche l’illusione di avere, perché anche lì la luce viene a fare chiarezza: credeva di avere, ma in realtà era vuoto.
fratel Sabino
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