Federazione Clarisse – Commento al Vangelo del 26 Gennaio 2020

Il commento al Vangelo del 26 gennaio 2020 è curato dalle sorelle del sito Federazione Clarisse.

1. Lettura e comprensione della Parola

Contesto

Giovanni é in prigione; Gesù abbandona Nazaret e si ritira a Cafarnao. Anche nella Galilea dei pagani ci sarà un posto nella nuova comunità. Matteo sottolinea la forma attraente della chiamata: per essa si rinuncia alla famiglia e al lavoro per seguire Gesù. La famiglia era, allora, il gruppo di appoggio più solido, tanto dal punto di vista sociale come economico. Al lasciare la famiglia si realizzava veramente un ́opzione radicale. Ai discepoli, che ascoltano le sue parole, Gesù affiderà la missione di realizzare lo stesso che lui sta facendo. Saranno pescatori di uomini.

2. Meditazione

Giovanni in prigione; Gesù se ne andò

L’attività di Giovanni ha trovato una forte opposizione. É denunclato e detenuto. Si spegne una voce, fimsce il tempo dell’attesa e commcia la voce nuova, quella di Gesù. Egli lascia Nazaret per trasferirsi a Cafarnao, la capitale ebraica di Galilea. (Tibenade era la residenza
del re, ma per le sue usanze pagane era evitata dai giudei. Inoltre era considerata come impura, perché era costrulta su un antico cimitero). Cafarnao era un crocevia di carovane e punto di incontro di popoli e culture. Sulle rive del lago di Galilea, si apriva la porta ai paesl pagani dell ‘altro lato del mare.

Matteo ricorda l’antica spartizione della terra (Zabulon e Neftall) nella citazione di Isaia (Is 8,23-9,1). Il profeta prometteva la liberazione alle due tribù sottomesse al giogo straniero. «Il cammino del mare» era quello che univa Egitto con Mesopotamia. Galilea «del pagani» é il
paese di popolazione mista. «La tenebra» é simbolo del caos e immagine della morte; «la luce», simbolo di vita.
Nella terra e ombra di morte sorge improvvisamente una luce, come in una nuova creazione.
É notevole il fatto che Gesù non cominci la sua predicazione in Giudea né in Gerusalemme, ma nella disprezzata Galilea dei pagani. La Buona Notizia di Gesù apre le frontiere del giudaismo ai pagani.

17 Convertitevi

Gesù raccoglie l´annuncio del Battista: la condizione é la stessa: la conversione e stessa é la motivazione: la vicinanza del regno di Dio. Però Gesù non unisce la sua proclamazione a un battesimo, né a un rito, neppure a un giudizio contro chi non l´accetta. Il significato del regno di Dio si andrà chiarendo durante tutta l´attività di Gesù e andrà sorprendendo coloro che avevano un´idea preconcetta di esso. Fin dal principio é chiaro che il regno di Dio non é un fatto individuale, né ridotto a un unico popolo, ma è comunitario e universale. E senza privilegi per nessuno.

Il popolo d´Israele aveva sofferto, in diverse occasioni, l´oppressione degli imperi stranieri. Ed era riuscito a liberarsi da essi. Nella gioia della liberazione aveva sentito l´azione del Dio d´Israele. Ma quella esperienza di gioia era mescolata con il rancore, il desiderio di vendetta, la cui realizzazione veniva affidata a Dio stesso.

Quando Gesù comincia la sua predicazione, Israele era sotto il dominio dell´Impero romano. C´erano in tutta la Palestina, soprattutto in Galilea, dei movimenti di resistenza agli invasori, e si estendeva la speranza in un nuovo intervento liberatore di Dio. Come era naturale, quella liberazione sarebbe di beneficio unicamente per Israele, e resterebbero esclusi i popoli pagani, costituendo un severo castigo per i romani…

D´altra parte, secondo la predicazione farisea, molto accetta ai tempi di Gesù, tutto era necessario comportarsi, individualmente, d´accordo con la legge di Dio, come la interpretavano loro, e questo affretterebbe l´intervento e la presenza di Dio in mezzo al suo popolo.

I primi passi dell´attività di Gesù contraddicono queste idee. Egli parla del Regno di Dio, come buona notizia, che invita al cambio, che esige conversione. Bisogna convertirsi «perché» viene il Regno di Dio, e, anche, «affinché» venga quel Regno.

In Giovanni, l´accento ricadeva sulla parola “conversione”, come si addice a un precursore; adesso, si sottolinea la seconda parte: “il regno di Dio é vicino”. E´ un annuncio di gioia, di felicità traboccante: esprime la volontà assoluta di Dio, che offre la salvezza.

La conversione nasce come risposta a quella Buona Notizia. Non siamo cristiani per salvarci. Per quello, basta compiere i comandamenti. Si é cristiani perché questo mondo si trasformi, con la nostra collaborazione, in Regno di Dio. La conversione non é un atto spirituale- intimista, ma l´atto per cui ci poniamo in sintonia con il dinamismo dell´azione divina,e trasformatrice del mondo.

18 Vide Simone e Andrea

Gesù vede, presso il lago, due coppie di fratelli. Matteo insiste in questo vincolo di fratellanza. Dice il nome di ognuno e, quando parla del secondo, lo chiama «suo fratello».

La chiamata di due in due indica l´amore visibile concreto, l´amore di fratelli, che godono della stessa paternità, l´amore di persone nelle quali corre lo stesso sangue, la stessa vita.

Gesù chiama nel marco delle occupazioni ordinarie della vita. I discepoli stanno gettando o riparando le reti. La vocazione si può riassumere in due verbi: “vide e disse”. Uno sguardo e una parola. Sono le uniche armi di cui dispone questo Maestro che, a differenza di altri maestri di Israele, sceglie i suoi discepoli.

19-20 Vi farò pescatori di uomini

Gesù chiama a una missione, che pretenderà attrarre tanto i giudei come i pagani. La risposta di Simone e Andrea é immediata. Appare per la prima volta il verbo «seguire», che indica l´adesione alla persona di Gesù e la collaborazione alla sua missione. Questo comporta una rottura con la vita precedente, un cambio radicale, come risposta all´azione della grazia e non come decisione autonoma. La vocazione cristiana non é una conquista, ma un essere conquistato. Il discepolo non cattura il Maestro, é afferrato da Lui. La risposta all´iniziativa di Gesù si esprime anche con il verbo: “lasciare”. La sequela é allontanamento: dalle reti, dal lavoro, dalle cose, dai legami familiari, da un presente. Non c´é risposta, che non si traduca in una separazione, in una rinuncia. E queste operazioni non sono mai senza dolore. Neppure possono essere considerate come terminate una volta per tutte. Lasciare e seguire sono due atti di un gesto unitario. Non si lascia per lasciare, si lascia per seguire. Si lascia per non continuare a stare “ricurvi su di sé” (come dice Lutero), ma per uscire fuori, insieme a lui, per muoversi dietro di lui. Discepolo non é uno che ha abbandonato qualcosa, é uno che ha incontrato qualcuno. L´abbandono non é il fine, ma la condizione della «sequela».

21-22 Giacomo e suo fratello Giovanni
La seconda scena é descritta più brevemente della prima, ma ha lo stesso significato. Questi due fratelli sono uniti non solo da un legame di fratellanza, ma anche dalla presenza del padre comune. Nel vangelo, «il padre» rappresenta l´autorità, che trasmette una tradizione. Gesù non ha avuto un padre umano, non é condizionato da una tradizione anteriore; i suoi discepoli abbandonano il padre umano; d´ora in poi, come Gesù, non dovranno riconoscere altro Padre, che quello del cielo.

Immediatamente. Lasciare. Seguire. Parole difficili per il nostro stile di vita.

23 Insegnava e curava

La Chiesa ha ascoltato molto bene “l´andate e insegnate”, ma forse non ha prestato sufficiente attenzione all´“andate e curate”: aprirci alle necessità degli altri, alle loro allegrie, speranze e timori, alle loro infermità e debolezze…, e sforzarci per porre loro rimedio.

3. Comunicazione e risposta

  • Come possiamo rendere presente il regno di Dio nel nostro quartiere? Quale dei tre elementi é quello di cui c´é più bisogno: libertà, giustizia, fraternità?

  • Gesù, chissà, non mi chiede di lasciare casa e lavoro, eppure, perché c´é tanta pigrizia nel seguire Gesù, anche se solo in piccoli impegni?

  • Seguiamo Gesù perché ascoltiamo la sua parola, aspettiamo da lui qualche piccolo miracolo o perché vogliamo realizzare la missione, che lui ci affida? Ho pensato qualche volta, non tanto a quello che mi piace, ma a quello che lui si aspetta da me?

A cura di Padre Gianfranco Testa, missionario della Consolata – Torino


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