don Paolo Squizzato – Commento al Vangelo di domenica 26 Gennaio 2020

«La speranza non è un modo di auto consolarsi, è la forza creativa che dalle radici dell’essere di continuo prorompe, lo slancio vitale che sembra assente, come il fuoco di un vulcano su cui la crosta di lava si è ormai consolidata» (E. Balducci).

Siamo chiamati alla speranza, a credere d’essere abitati da una forza in grado di compiere in noi una ri-creazione continua, perché non siamo stati creati, siamo in creazione. E la Genesi non sta all’origine di noi, ma alla fine, come compimento, come completa fioritura.
Questa forza che mi abita mi muove pure nelle concrete circostanze della vita, nella convinzione che tutto può ricrearsi anche attorno a me.

Non sono schiavo di logiche maligne, quelle proprie di ogni potente di turno, fatte di potere, ricchezza, possesso, violenza. Non sono un essere decaduto segnato irrimediabilmente dal male e destinato a compiere solo cose cattive. La luce che mi porto dentro, l’energia di Fondo di tutte le cose – che alcuni chiamano Dio – mi dice che la vita non è tutto questo, e che la realtà è ben altra: possibilità di prendersi cura, giocarsi relazioni nell’amore, nel perdono, nel ridonare luce a chi vive solo più nelle tenebre. Vivere di speranza è credere che sono fatto per venire alla luce di me stesso, di partorirmi in pienezza attraverso la via del bene.

La cosmologia contemporanea ricorda che siamo nati dalle stelle. 12 miliardi di anni fa, le Giganti Rosse sono esplose e i loro elementi espandendosi li ritroviamo ora in ciò che costituisce la vita. Noi siamo formati da polvere cosmica. «Non è per questo che brillate e sentite dentro di voi il calore e l’impulso a splendere? Sì, perché portate dentro di voi la potenza delle stelle» (Leonardo Boff).

“Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”, dice Gesù. Cambia mentalità, comincia a pensare diversamente. Entra in contatto con la luce che ti abita, e non fermarti sul male che riscontri in te, ma credi al bene che puoi fare. Entra in contatto col fuoco che ti abita e asseconda l’impulso a splendere! ‘Non lasciarti cadere le braccia’ (Sof 3, 16), ma usale per ‘pescare’ fuori dai gorghi della storia (cfr. v. 19) le donne e gli uomini che vi sono caduti dentro infangando la loro dignità.

I primi collaboratori di Gesù non erano sapienti, bensì pescatori semplici con i volti bruciati dal sole e le mani segnate dalle funi. Gesù li chiama a sé non ad annunciare dottrine e a dire che sarà un’ortodossia a salvarci, ma a liberare i prigionieri del male e a dire che a salvarci sarà solo un’ortoprassi, ossia un’azione segnata dal bene.

Essere cristiani significa portare avanti la creazione, la nostra umanità, e la fraternità laddove ci si trova a vivere. È interessante che Gesù chiami a sé anzitutto coppie di fratelli. Certo, perché il cristianesimo altro non è che l’energia immersa nella storia in grado di richiamare in vita Caino e Abele, trasformando il fratricidio in fecondità e vita per sempre.


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