C’è un uomo con la mano paralizzata che viene guarito: quello che sembra essere l’episodio centrale del racconto si perde invece quasi fosse un pretesto, e dell’uomo con la mano malata non si dice niente: perché era nella Sinagoga? Voleva ascoltare Gesù, o era lì per farsi guarire? Era venuto di sua spontanea volontà, o lo avevano chiamato i farisei?
I farisei sono lì, tutti intorno a Gesù, che aspettano che faccia qualcosa: per loro l’uomo con la mano paralizzata passa in secondo piano. Loro che conoscono così bene la legge, loro che obbediscono ai precetti, non si meravigliano davanti al miracolo: non è questo quello che cercano. Loro forse desiderano più degli altri la venuta del Regno dei Cieli; ma è un regno disegnato con squadre e righelli, e qualsiasi cosa non si riesca ad incasellare in questo schema che hanno immaginato appare sbagliato, ingiusto, persino irrispettoso.
Anche dentro di noi si possono nascondere erodiani e farisei. E allora ogni volta che la vita esonda, che la vita trabocca, che la vita sbaglia anche strada e percorre un tragitto che non è quello che ci aspettavamo e che forse nemmeno ci piace, ecco che subito siamo pronti a indurirci, a chiudere fuori Gesù, a farlo morire. Forse, invece, potremmo semplicemente provare a contemplare lo spettacolo che la vita ci propone, nelle paralisi come nei miracoli, e lasciarci stupire quando ci viene incontro, ci chiama in mezzo, e ci guarisce.
Rete Loyola (Bologna)
[…] Continua sul sito […]
Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato