Mi accade abbastanza spesso di ricevere immagini di amici e ospiti nel giorno delle nozze, nell’ebbrezza fino alle lacrime del loro essere sposo, sposa, invitati. Queste immagini sprigionano una gioia indicibile, un tripudio incontenibile, assolutamente fondativi. Non so se sia dato di sperimentare qui sulla terra, fatta eccezione per l’amicizia, che può raggiungere un diapason ancora più esteso, qualcosa di più grande, che trasfiguri tutta la persona trasportandola invincibilmente alla massima espressione delle sue potenzialità esistenziali, primizia di quell’amore che un giorno nel Regno sarà tutto in tutti, perché non ci sarà che amore. Essere sposo non è stata personalmente la mia via, ma riconosco con gratitudine nell’unione dello sposo e della sposa una pienezza che supera infinitamente la mia condizione di “ramo secco”, una pienezza che irradia luce di vita all’intorno.
E appunto come sposo Gesù si autopresenta nel vangelo odierno, portando con sé tutta la gioia, la festa, la fecondità di questa condizione. I discepoli, gli invitati a nozze, “i figli dello sposo” come il testo greco, con un’intensissima espressione, li chiama, sono irresistibilmente coinvolti in quella gioia, come se non potessero sottrarsene… Forse dovremmo avere più consapevolezza di questo irrompere silenzioso nelle nostre vite della presenza di Gesù come sposo, nella sua umanità incandescente e vivificante, che niente e nessuno ci potrà strappare, perché resterà con noi fino alla fine del mondo.
Invece però di lasciarsi trasformare da questa presenza che insemina di vita la realtà, aprendola alla speranza nel tempo e oltre il tempo, sale dagli interlocutori di Gesù una critica mortifera, tendenziosa, senza luce: “Perché i tuoi discepoli non digiunano?” E Gesù risponde: “Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro?”
Come siamo ciechi e non capiamo la funzione semplicemente preparatoria di pratiche e strumenti, come il digiuno… Ci irrigidiamo sulle modalità delle “vie” verso Dio, assolutizzandole, ma, poi, i nostri occhi non vedono la bontà della realtà, non vedono che la sua presenza è già operante in quanto c’è di più umano: la bellezza, la bontà, la grandezza di cuore, il coraggio, la lealtà, la gioia… “Perché i tuoi discepoli non digiunano?”: questa domanda triste apre essa stessa, in verità, i tempi in cui lo sposo viene tolto, in cui non sappiamo più rallegrarci con gli altri, fare il dono di una parola, piangere con chi piange e gioire con chi è nella gioia, dare un fiore. È l’esperienza che spesso facciamo: com’è difficile gioire per qualcuno che è felice; diciamo piuttosto: “Perché io no e lui sì?”.
Il Vangelo ci chiede non correttivi o aggiustamenti, ci chiede un rinnovamento totale, coraggioso, inattuale, anticipatore: “vino nuovo in otri nuovi”! Ci chiede di sentire il Cristo sposo nascostamente presente nella realtà, con la sua forza vitale e moltiplicatrice, con la sua umanità generante, gravida di futuro, e di seguirlo con tutte le nostre forze, finché avremo respiro.
fratel Lino
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