Commento al Vangelo del 19 Gennaio 2020 – p. Raniero Cantalamessa

Ecco l’agnello del Dio!

Nel Vangelo di questa seconda Domenica del cosiddetto tempo ordinario, ascoltiamo Giovanni Battista che, presentando Gesù al mondo, esclama:

“Ecco l’agnello di Dio,
ecco colui che toglie il peccato del mondo!”

L’agnello, nella Bibbia, come del resto in altre culture (si pensi, per esempio, alla favola classica del lupo e dell’agnello che bevono al torrente), è il simbolo dell’essere innocente, che non può fare del male ad alcuno, ma solo riceverlo. Proseguendo questo simbolismo, la prima lettera di Pietro chiama Cristo “l’agnello senza macchia”, che, “oltraggiato, non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta”. Gesù, in altre parole, è, per eccellenza, l’Innocente che soffre.

È stato scritto che il dolore degli innocenti “è la roccia dell’ateismo”. Esso è veramente “l’osso duro” di ogni religione. Nel romanzo I fratelli Karamazov di Dostoevskij, il ribelle Ivan esclama: “Se anche la sofferenza innocente dovesse servire a edificare un’umanità migliore, possono gli uomini accettare una felicità edificata sul sangue innocente? Non ci sto. Gli restituisco il biglietto!”.

Dopo Auschwitz, il problema si è posto in maniera ancora più acuta. Non si contano i libri e i drammi scritti intorno a questo tema. Sembra di essere in un processo e di ascoltare la voce del giudice che ordina all’imputato di alzarsi. L’imputato in questo caso è Dio, la fede.
Che ha da rispondere la fede a tutto ciò? Anzitutto, è necessario che ci mettiamo tutti, credenti e non credenti, in un atteggiamento di umiltà, perché se non è in grado la fede di “spiegare” il dolore, ancor meno lo è la ragione. Il dolore degli innocenti è qualcosa di troppo puro e misterioso per poterlo racchiudere dentro le nostre povere “spiegazioni”. Io ho imparato una cosa dalla storia di Giobbe: a non voler fare la parte degli “amici” di Giobbe, quelli che pretendono di sapere tutto sulla sofferenza e sul castigo e vogliono fare a tutti i costi i difensori di ufficio di Dio. Alla fine, in quella storia, compare Dio stesso e che dice? Dà ragione a Giobbe che lo ha tempestato di “perché? perché?”, fin quasi alla rivolta, e dà invece torto a quelli che hanno parlato (ma senza essere passati attraverso la sofferenza) in sua difesa!

Gesù, che di spiegazioni da dare ne aveva certo più di noi, davanti al dolore della vedova di Naim e delle sorelle di Lazzaro, non seppe far di meglio che commuoversi e piangere.
Vorrei però premettere una osservazione. Chi porta lontano da Dio, il dolore degli innocenti: chi lo soffre sulla sua pelle, o chi vi scrive sopra romanzi e saggi a tavolino? Mi sembra esemplare il caso di Anna Frank. A questa fanciulla ebrea, nascosta per due anni in una soffitta per sfuggire ai nazisti, bastava un piccolo squarcio di cielo, contemplato da una finestrella, o il ritorno della primavera, per inneggiare alla vita e a Dio. Tra quelli che hanno scritto su di lei, nel caldo delle case ricostruite, vi è stato chi ha trovato, nella sua vicenda, un “insormontabile ostacolo” a credere in Dio. Non è l’incapacità di spiegare il dolore che fa perdere la fede, ma semmai è la perdita della fede che rende inspiegabile il dolore.

La risposta cristiana al problema del dolore innocente è racchiusa in un nome: Gesù Cristo! A quella parola di Ivan, il fratello minore dei Karamazov, Alioscia, risponde: ”Tu hai detto: ‘C’è nel mondo intero un solo Essere che possa perdonare e ne abbia il diritto?‘. Ebbene, questo Essere c’è, ed Egli può perdonare a tutto e a tutti e per conto di tutti, perché Egli stesso ha dato il suo sangue innocente per tutto e per tutti”.

Gesù non è venuto a darci delle dotte spiegazioni sul dolore, ma è venuto a prenderlo silenziosamente su di sé. Prendendolo su di sé, però, lo ha cambiato dall’interno: da segno di maledizione, ne ha fatto uno strumento di redenzione.
Di più: ne ha fatto il valore supremo, l’ordine di grandezza più alto in questo mondo. Dopo il peccato, la vera grandezza di una creatura umana si misura dal fatto di portare su di sé il minimo possibile di colpa e il massimo possibile di pena del peccato stesso. Cioè, nel non commettere il male e tuttavia accettare di portare le conseguenze di esso. Non sta dunque tanto nell’una nell’altra cosa presa separatamente -cioè o nell’innocenza o nella sofferenza-, quanto nella compresenza delle due cose nella stessa persona. Questo è un tipo di sofferenza che avvicina a Dio. Solo Dio, infatti, se soffre, soffre da innocente in senso assoluto.

Al vertice di questa nuova scala di grandezza sta Gesù di Nazaret, “l’Agnello senza macchia”, perché, senza aver commesso nessuna colpa, egli ha portato su di sé la pena di tutte le colpe. “Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui…Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di tutti noi” (Isaia 53, 5 s.). Quello che agli occhi del mondo è il più grande scandalo -il dolore degli innocenti- è, davanti a Dio, la perla più preziosa al mondo. Esso è “il sale della terra”, quello che riscatta questo nostro mondo impazzito da tante brutture e compromessi.

Gesù non ha dato però solo un senso al dolore innocente, gli ha conferito anche un potere nuovo, una misteriosa fecondità. Tutto il dolore innocente “fa massa” ormai, in qualche modo, con quello di Cristo, lo “completa” (così si spinge a dire sanPaolo) e riceve da esso la capacità di far germogliare speranza e vita intorno a sé. “Soffrire -ha scritto Giovanni Paolo II nella sua lettera sul “Dolore che salva”- significa diventare particolarmente sensibili all’opera delle forze salvifiche di Dio offerte all’umanità in Cristo” .

A proposito del dolore innocente, la fede ci invita dunque a non soffermarci tanto sulle sue cause, sul “perché” si soffre, quanto sui suoi effetti: che cosa nasce da tale sofferenza. Un giorno, presentandogli un ragazzo cieco dalla nascita, alcuni dissero a Gesù:

“Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?” Gesù rispose: Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio” (Giovanni 9, 2 s.).

Quante volte anche noi ci domandiamo: “Che cosa ho fatto di male, perché Dio mi punisca così?”, come se il dolore fosse sempre un castigo e una maledizione, e non invece, come lo chiama sanPaolo, “una partecipazione alle sofferenze di Cristo”, che permette di partecipare poi anche alla gloria e alla gioia della risurrezione.

Dicevo che, per non smarrirci, non dobbiamo guardare tanto alle cause del dolore innocente, quanto ai suoi effetti, a ciò che da esso scaturisce. Guardiamo cosa scaturì dalla sofferenza di Cristo: la risurrezione e la speranza per tutto il genere umano. Per lui stesso, quanta gloria! Nella prima lettura di questa domenica, Dio dice profeticamente al suo Cristo: “Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra”. E, dopo duemila anni sappiamo che così è stato. Gesù è diventato, di fatto, “luce delle nazioni”.

Ma guardiamo a quello che succede anche oggi intorno a noi. Quante energie ed eroismi suscita spesso, in una coppia, l’accettazione di un figlio minorato, inchiodato al letto per anni! Quanta solidarietà insospettata intorno ad essi! Quanta capacità d’amore altrimenti sconosciuta!
Ma prima di chiudere devo aggiungere un’osservazione. La cosa più importante, quando si parla di dolore innocente, non è capirlo o spiegarlo; è non aumentarlo! Molto di questo dolore non è infatti frutto di fatalità o della natura; viene da noi, dalla nostra libertà, dalla volontà di prevalere sull’altro, o semplicemente dalle nostre omissioni. Gesù voleva che i suoi discepoli fossero nel mondo “agnelli in mezzo ai lupi”; ma quante volte avviene il contrario e siamo lupi in mezzo ad altri lupi o peggio lupi in mezzo ad agnelli.

La prepotenza! Bisogna bollare senza pietà questa tendenza che più di tutte avvelena i rapporti umani, spesso dentro le stesse mura domestiche. La favola del lupo e dell’agnello che ho ricordato si propone proprio di mettere a nudo l’assurdità e l’odiosità della prepotenza. Essa non è segno di forza, ma di debolezza. Chi è insicuro dentro e pieno di complessi è più portato a rifarsi sugli altri. Sente il bisogno di annullare intorno a sé ogni altra volontà. È anche spesso segno di vigliaccheria. Il prepotente di solito è forte con i deboli e debole con i forti. Se posso permettermi una parola ai giovani è questa: sappiate scegliere i vostri eroi e modelli. Non emulate i prepotenti e non abbiate alcuna soggezione di essi: sono dei poveretti, spesso più malati che colpevoli.

Non basta neppure non aumentare il dolore innocente; bisogna anche cercare di alleviare quello che c’è! Dinanzi allo spettacolo di una bimba intirizzita di freddo che piangeva per i morsi della fame, un uomo gridò, un giorno, nel suo cuore a Dio: “O Dio, dove sei? Perché non fai qualcosa per quella bambina innocente?” E Dio gli rispose: “Certo che ho fatto qualcosa per lei: ho fatto te!”.

Impariamo bene questa risposta e ripetiamocela dentro di noi, quando siamo tentati di rivolgere a Dio la stessa domanda.

Fonte


Letture della Domenica
II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A
Colore liturgico: VERDE

Prima Lettura

Ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza.

Dal libro del profeta Isaìa
Is 49,3.5-6

Il Signore mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».

Parola di Dio

Salmo Responsoriale

Dal Sal 39 (40)

R. Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio. R.

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo». R.

«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo». R.

Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai. R.

Seconda Lettura

Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
1 Cor 1,1-3

Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

Parola di Dio

Vangelo

Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 1, 29-34

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Parola del Signore

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