Oramai ripresa per tutti, dopo le festività natalizie, la consueta routine, si torna, piene le pance, tra i colleghi di lavoro.
Il vanto maggiore che si esibisce al cospetto di questi ultimi, è mostrare chi maggiormente abbia aumentato la circonferenza del proprio ventre, poiché più lungo è il giro di fettuccia, migliore è il tempo che si è vissuto.
Cos’altro è, infatti, il Natale, se non sinonimo di abbuffate?
E, assieme all’ “infiata epa”, corre parallelo il ritorno allo svuotamento delle chiese: ci si è entrati anche troppo in questi giorni!
L’antipatia di questo incipit è palese, ma di dolci ne abbiamo mangiati tutti a sufficienza, tanto da riuscire a tollerare appena un po’ di amaro.
Il Paraclito guidi la riflessione dello scrivente e la meditazione del lettore.
Ebbene, manifestato Gesù al mondo, quest’oggi la Liturgia ci fa considerare una ulteriore Epifania, ovvero quella della Santissima Trinità: la presenza contemporanea del Padre Figlio e Spirito Santo anima la pericope odierna, la quale segna l’inizio di quel definitivo compimento che si realizzerà, passando per la Croce, con la Risurrezione.
La presenza del Battista, inoltre, sta a rappresentare il legame con l’Antico Testamento (cfr. Mt 11, 13) e, al contempo, il passaggio alla Nuova, ovvero Compiuta e Completa, Alleanza, della quale egli rappresenta “quell’Elia che deve venire” (Mt 11, 14).
Trovare spunti di commento è assai facile (si intenda “abbondante”) quest’oggi, data la poderosa portata del brano in questione, teologicamente e spiritualmente possente, ma allo stesso tempo estrapolare una parola che sia in grado di veicolare particolari percorsi filologici è complicato, poiché il testo, sia esso italiano (traduzione) o greco (originale), è relativamente semplice e lineare (anche se da tempo, ormai, abbiamo capito che accanto ai significati immediati e certamente validi, sorgono sempre notevoli e reconditi concetti, che richiedono un accompagnamento di mediazione e di attenta esegesi).
Adeguandoci a questa sottolineata “semplicità”, evitiamo orbene di scegliere le parti “nobili” del discorso (ovvero sostantivi e verbi), e cimentiamoci su un comunissimo avverbio: ORA.
Nella traduzione che leggiamo o che ascoltiamo, siamo dinanzi a «Lascia fare per ora» (v. 15), ma il greco originale è “àrti”, ovvero unicamente “ora”.
Primo punto
Il termine “àrti” è certamente traducibile con “ora”, ma esso rappresenta una semplificazione, o una evoluzione, di quanto è nel suo profondo contenuto.
Ebbene, la traduzione rigorosa di “àrti” è quella dell’avverbio “precisamente” oppure “appunto”.
A partire da questo senso originario, “àrti” viene adoperato con idea di tempo; ma è risaputo che il tempo è, da noi uomini, ripartito in tre ambiti: passato, presente, futuro.
E lo stesso si applica all’avverbio in questione.
Con idea di tempo, ad accezione presente, “àrti” si traduce con “adesso”; ad accezione passata vale “poco_fa”; ad accezione futura intende “tra_breve”.
Molto interessante come questo semplice “ora” sia tripartito come il Soggetto Trinitario che è oggi protagonista; ed è degno di riflessione il fatto di come il tempo sia solamente una nostra categoria umana, poiché per il Signore non v’è né presente, né passato, né futuro, ma è tutto un “ora”.
Su questa scia possiamo provare ad intendere la pronunzia che viene dalla bocca di Gesù: «Lascia fare per_ora (sempre), perché conviene che adempiamo ogni giustizia» (v. 15); e su questa scia possiamo giungere ad avvicinarci al forte messaggio che proviene dall’atteggiamento di Giovanni: «Allora egli (Giovanni) lo (a Gesù) lasciò fare (sottinteso “ora”)» (v. 15).
Secondo punto
L’avverbio “àrti” viene dalla radice “ar”, la quale esprime il “passaggio da un pensiero ad un altro”, ed anche qui siamo al cospetto di una tripartizione.
1-La radice “ar” può denotare una semplice transizione di significato, e quindi può valere “allora/quindi/pertanto”. In buona sostanza, tale prima sfaccettatura indica una certa ricapitolazione di quanto è stato detto in precedenza, oppure un richiamare l’attenzione a cose dette prima, ovvero altrimenti note.
2-Ancora la radice “ar” può denotare una conseguenza, ovvero indicare quello che deriva, o che si deduce, da quanto è stato già espresso o alluso, e quindi vale anche “perciò/così/dunque”.
3-In terzo luogo, la radice “ar” arriva ad esprimere una vera e propria spiegazione di quanto è stato detto in precedenza, e quindi vale “poiché/cioè/vale_a_dire”.
I tre aspetti appena citati sono chiaramente in connessione diretta col primo punto: quando si “precisa” (àrti) una cosa, è naturalmente una “transizione”, ma anche una “conseguenza”, ma anche una “spiegazione” da un concetto ad un altro (ar)
Arrivando anche per tale secondo punto ad una nota di meditazione, questo ci conduce ancora ad “intus_legere” la pericope odierna: la Trinità è non solo esplicita e manifesta nel brano di oggi, ma, come possiamo vedere, è celata ed insita in esso, alla stregua di come vengono adoperati, nei tempi nostri massimamente, ma comunque da sempre, i messaggi subliminali: crede l’uomo di essere l’inventore di tutto; in realtà non fa altro che limitarsi a scoprire quello che Dio gli ha posto accanto, comprese le strategie di comunicazione!
Ma ancora: tra le varie valutazioni a cui il secondo punto in questione può portarci, piace allo scrivente evidenziarne un’altra: il Signore Gesù è la transizione (il Quindi) tra l’Antica e la Nuova Alleanza; Egli è la conseguenza (il Perciò) del Patto, mai dimenticato ed ora adempiuto, stabilito da Dio; Egli è la spiegazione (il Cioè) della Promessa pronunciata dal Signore (cfr. Mt 5, 17: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento»).
Terzo punto
L’avverbio “àrti”, oltre che da “ar”, ha anche radice dal verbo greco “ararìsco”, che significa “adattare/accomodare”, ed anche “provvedere/equipaggiare”.
La connessione di senso con in due punti sopra esposti non è difficile da raggiungere, ma ciò che ci interessa è dove questo verbo può condurci.
Il Signore Gesù, Egli che è Dio (cfr. Fil 2, 6: «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio») non si è forse “adattato”, facendo aderire Dio alla nostra condizione umana (cfr. Eb 4, 15: «essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato»)? Non ci ha forse “accomodato”, emendando la condizione umana (cfr. Fil 2, 5: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù»)? Non ci ha reso “provvisti”, fin da ora, del dono della Risurrezione (cfr. Col 3, 1: «Se dunque siete risorti con Cristo»)?
Possiamo sintetizzare tutti ciò, facendoci aiutare da un termine latino che deriva direttamente da “ararìsco”, ovvero “artus” (da cui l’italiano “arto/articolazione”): esso significa propriamente “giuntura”. Non è il Signore Gesù, Egli che è Dio, la “congiunzione” che ha mediato Dio con l’uomo (cfr. Gv 12, 44-45: «Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato»; cfr. Gv 14, 9 «Chi ha visto me ha visto il Padre»)?
Anche qui trapela la Trinità, poiché per farsi “giuntura” tra il Dio(Padre) e gli uomini, Dio(Figlio) si è fatto carne per opera di Dio(Spirito Santo).
Quarto punto
Dalla radice “ar”, quindi in piena sintonia con “ararìsko” a “àrti”, è il verbo “arèsko”.
Esso significa “soddisfare/piacere/gradire”, ma significa anche “compiacere”.
Perché, pur se tutti e quattro questi significati posso essere adoperati come sinonimi, lo scrivente ha scelto di indicarne tre separatamente da uno?
La risposta è semplice: il concetto di “compiacimento” non è un “soddisfare/piacere/gradire” unilaterale, ma bilaterale, ovvero reciproco.
Capiamoci: io posso dare soddisfazione a qualcuno; posso far piacere a qualcuno; posso recare gradimento a qualcuno, ma posso fare tutto ciò senza esserne com_piaciuto, ovvero, per dirla banalmente, controvoglia, senza che ci sia la mia soddisfazione, il mio piacere, il mio gradimento.
Esiste, invece, un “soddisfare/piacere/gradire” che non è unilaterale, ma bilaterale, ovvero posso dare soddisfazione a qualcuno; posso far piacere a qualcuno; posso recare gradimento a qualcuno, essendone com_piaciuto, ovvero, con la mia soddisfazione, con il mio piacere, con il mio gradimento.
Ebbene, il verbo “arèsko” esprime questa seconda accezione, ovvero non un mero ed unilaterale “soddisfare/piacere/gradire”, ma un “soddisfare/piacere/gradire” bilaterale, quindi “compiacimento”.
E tutto ciò è espresso chiaramente nella pericope odierna: il Padre, per mezzo dello Spirito, proclama il suo “com_piacimento” nei confronti del Figlio (v. 17, sottinteso “il quale Figlio lo ha soddisfatto); il Figlio con quell’ “ora” (v. 15) esprime intimamente il suo “com_piacimento” nei confronti del Padre (sottinteso “il quale Padre gli ha arrecato soddisfazione”).
Anche tale punto esprime chiaramente l’aspetto trinitario protagonista del passo matteano: il Padre che si compiace del Figlio e il Figlio che si compiace del Padre sono uniti dal Compiacimento (lo Spirito).
(Si intenda allo stesso modo, ovvero con “compiacimento”, un altro passo evangelico presente in Lc 2, 14: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama [“del compiacimento”]»)
Quinto punto
Giunti a conclusione, siamo costretti, dall’attualità, a rendere un altro spunto.
Da tutte le parole da cui abbiamo preso sin ora spunto, derivano anche altri due termini: l’aggettivo greco “arèion”, che significa “superiore/più_forte”, e il sostantivo latino “arma”, del quale non occorre esplicitare alcuna traduzione.
Esprimere la solita misticanza di buonismo, emotività e morale non appartiene allo scrivente, e ciascun lettore può benissimo provvedere da sé.
Andiamo alla pericope che ci viene offerta oggi, e lasciamo che anche per questa ultima riflessione sia essa a parlare.
In che modo il Signore Gesù ha espresso la sua “superiorità”?
Egli si è “abbassato”!
Ma non è solo la classica risposta da catechismo.
Questo abbassamento è espresso nel testo, sia in maniera esplicita che implicita. Diamo solo breve cenno, lasciando che il lettore sia libero di meditare così come lo Spirito gli suggerirà:
1-Gesù dalla Galilea «venne al Giordano»: il nome “Giordano” deriva dalla radice ebraica “yrd”, ovvero dal verbo ebraico “yarad” che significa precisamente “discendere”
2-la valle del Giordano, che giunge sino al Mar Morto, è il punto più basso della terra
3-Gesù vuole «farsi battezzare» (v. 13) e sarà «battezzato» (v. 16): questo verbo in greco è “bàpto” che significa precisamente “immergere”, ovvero “mettere_sotto”
4-Gesù vuol farsi battezzare «da lui» (v. 13, ovvero “da Giovanni”): questo “da lui” in greco è “up’autoù” che precisamente significa “sotto lui”
Ecco, dunque, l’ “arma” con cui è equipaggiato nostro Signore Gesù Cristo, Egli che è Dio, ovvero il “Più_Forte”: l’abbassamento; lo svuotamento (cfr. Fil 2, 7: «ekènosen»).
È la stessa dell’uomo?
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.
Letture della Domenica
BATTESIMO DEL SIGNORE – ANNO A – Festa
Colore liturgico: BIANCO
Prima Lettura
Ecco il mio servo di cui mi compiaccio.
Dal libro del profeta Isaìa
Is 42,1-4.6-7
Così dice il Signore:
«Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.
Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta;
proclamerà il diritto con verità.
Non verrà meno e non si abbatterà,
finché non avrà stabilito il diritto sulla terra,
e le isole attendono il suo insegnamento.
Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito
come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Sal 28 (29)
R. Il Signore benedirà il suo popolo con la pace.
Date al Signore, figli di Dio,
date al Signore gloria e potenza.
Date al Signore la gloria del suo nome,
prostratevi al Signore nel suo atrio santo. R.
La voce del Signore è sopra le acque,
il Signore sulle grandi acque.
La voce del Signore è forza,
la voce del Signore è potenza. R.
Tuona il Dio della gloria,
nel suo tempio tutti dicono: «Gloria!».
Il Signore è seduto sull’oceano del cielo,
il Signore siede re per sempre. R.
Seconda Lettura
Vita familiare cristiana secondo il comandamento dell’amore.
Dagli Atti degli Apostoli
At 10,34-38
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga.
Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti.
Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui».
Parola di Dio
Vangelo
Appena battezzato, Gesù vide lo Spirito di Dio venire su di lui.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 3,13-17
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».
Parola del Signore