card. Gianfranco Ravasi – I tesori dei Magi: oro, incenso e mirra

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Nel nostro percorso nella natura secondo la Bibbia ci soffermiamo sui tre doni fatti al bambino Gesù, alle due resine odorose al metallo prezioso scavato nelle profondità della terra

«Le strade fangose, i cammelli pustolosi, i piedi sanguinanti… Vi furono momenti in cui rimpiangemmo i palazzi d’estate sui pendii, le terrazze, le seriche fanciulle che portavano i sorbetti…». Così il famoso poeta Thomas S. Eliot canta, in una sua poesia del 1927, il viaggio dei Magi dal lontano Oriente verso il modesto villaggio di Betlemme in Giudea. Ma finalmente, ecco la meta raggiunta, indicata dalla stella: «Videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (Matteo 2,11).

Su questi regali – che hanno affascinato anche la tradizione artistica e che rivelano forse una qualità dei Magi, l’essere cioè a capo di una carovana di mercanti di materiali preziosi dell’Oriente – noi ora fisseremo la nostra attenzione. Nel percorso all’interno della natura così come la Bibbia la rappresenta, uno spazio meritano anche i tesori custoditi nelle profondità della Terra e i prodotti più raffinati della vegetazione. Nei doni dei Magi questi ultimi sono incarnati da due resine odorose diverse per aroma.

Da un lato c’è l’incenso che in greco è detto lébanon, proprio come la nazione del Vicino Oriente, e che trasuda da alcuni alberi particolari. Esso era diventato materia dei sacrifici del tempio di Gerusalemme perché, posto su carboni ardenti, esalava verso il cielo, raffigurando idealmente la preghiera che saliva dalle labbra dei fedeli verso Dio, come si canta nel Salmo 141,2: «La mia preghiera stia davanti a te come incenso».

D’altro lato, ecco la mirra, in greco smyrna, proprio come il nome di un’importante città dell’Asia minore (ora Turchia) che si affaccia sul Mediterraneo. Si trattava della resina di un arbusto che cresce nell’Arabia meridionale, dall’aroma forte, usato per questo per attutire il fetore ma pure per conservare i cadaveri nei riti funebri: anche il corpo di Gesù viene trattato con «trenta chili di miscela di mirra e di aloe» (Giovanni 19,39). Era, però, impiegata, in piccole dosi, per imprimere un sapore forte al vino (come nel vino greco resinato): anche a Gesù in croce verrà posto sulle labbra «vino mescolato a mirra, ma egli non ne prese» (Marco 15,23).

Ora, però, poniamo al vertice l’oro, il metallo più pregiato nell’antichità, estratto nelle miniere della Nubia, l’attuale Etiopia, e della Lidia nell’Asia Minore. Entra in scena spesso nella Bibbia come simbolo di splendore (non si ossida) e di bellezza (è malleabile nell’elaborare oggetti o statue). È, perciò, soprattutto nell’Apocalisse, un simbolo di divinità: come non ricordare, in negativo, il vitello d’oro adorato dagli Ebrei nel deserto del Sinai?

Noi, però, lo ricordiamo perché ci permette di esaltare un dato rilevante dell’attività umana nella terra, la ricerca mineraria (che vale anche per le pietre preziose e l’argento). Purtroppo sappiamo che questa attività significativa è stata ed è spesso deformata dal vergognoso sfruttamento da parte dei Paesi ricchi nei confronti di quelli poveri che custodiscono sotto le loro terre queste materie rare, così come infame è il ricorso al lavoro di veri e propri schiavi, spesso bambini, per la loro estrazione.

Tuttavia penetrare la superficie della terra con la tecnologia alla ricerca dei beni naturali è esaltato nella Bibbia. Ecco una vivace raffigurazione dell’ingegneria mineraria nel libro di Giobbe: «L’argento ha le sue miniere e l’oro un luogo dove si raffina. Il ferro lo si estrae dal suolo, il rame si libera fondendo le rocce. L’uomo pone un termine alle tenebre e fruga fino all’estremo limite, fino alle rocce nel buio più fondo. In luoghi remoti scavano gallerie dimenticate dai passanti; penzolano sospesi lontano dagli uomini. La terra, da cui si trae pane, di sotto è sconvolta come dal fuoco. Sede di zaffìri sono le sue pietre e vi si trova polvere d’oro» (28,1-6).

Fonte: Famiglia Cristiana