La fede operosa di Giuseppe
Quasi come in uno specchio rispetto al racconto evangelico dell’Annuncio dell’angelo a Maria (Lc 1,26-38), Matteo ci presenta l’Annuncio della nascita di Gesù a Giuseppe. Il brano descrive immediatamente la forza di questa irruzione di Dio: Maria è incinta per opera dello Spirito Santo. Non deve essere stato facile per Giuseppe, innamorato di Maria e con un impegno matrimoniale già assunto con lei, scoprire che nonostante non fossero ancora andati a vivere insieme, Ella era già in “dolce attesa”. L’annotazione della giustizia di Giuseppe, però, non è secondaria. Essere giusto, secondo l’accezione biblica, oltre che avere un significato semplicemente morale, ha anche un senso teologico e spirituale: Giuseppe è un uomo che ha fede, pertanto si comporta di conseguenza.
Sa di non capire il piano di Dio in quel momento, ma non vuole danneggiare Maria esponendola alla gogna sociale, come accadeva per una donna colpevole di adulterio. Il modo di fare di Giuseppe è libero da schiamazzi, polemiche o mormorazioni, ma è tutto orientato all’introspezione: Egli medita nel suo cuore quanto accaduto, forse con dolore, con tanti interrogativi, ma mantenendo vivo il dialogo con Dio e basta. Ed è proprio lí, che il Signore interviene, rassicurandolo e spiegandogli la sua vocazione. Gesù, pur non essendo generato da Giuseppe con una paternità genitale, non meno sarà suo figlio.
Sarà proprio Giuseppe, infatti, come padre davidico di Gesù ad inserirlo nella discendenza di Davide, secondo le profezie dell’Antico Testamento, e sarà ancora lui a dargli il santo nome in cui solo c’è la salvezza, a prendersi cura di lui e di sua madre, proteggendoli e custodendoli. A conclusione del brano, Matteo ci offre un’altra bellissima perla, data del quel verbo che indica la risposta di Giuseppe alla chiamata di Dio: egli “fece”. Una delle caratteristiche della teologia del Vangelo di Matteo è proprio la sottolineatura di una fede che si rende operosa. Nello stesso Vangelo, infatti, si ritrova la celebre espressione di Gesù: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21). Cosa può insegnarci allora questa figura luminosa di Giuseppe? In un tempo in cui la parola è abusata, il padre di Gesù ci insegna
il grande valore del silenzio, non come semplice assenza di parole, ma come spazio in cui poter entrare in sè ed accogliere la Parola. La strada maestra per capire la volontà di Dio su di noi non è mai quella del rumore e degli schiamazzi, ma quella di chi con umiltà si pone in ascolto dei segni del Signore. Giuseppe, infine, ci insegna anche a compiere quel salto necessario dalle buone idee e intenzioni alle azioni concrete. Una fede che non si traduce in gesti concreti, in opere che toccano la nostra carne, che ci scomodano anche un po’ dalle nostre abitudini, rimane evidentemente monca. Per concludere, mi piace riprendere alcune espressioni della lettera Apostolica di Papa Francesco sul senso del presepe: “Accanto a Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mamma, c’è San Giuseppe.
In genere è raffigurato con il bastone in mano, e a volte anche mentre regge una lampada. San Giuseppe svolge un ruolo molto importante nella vita di Gesù e di Maria. Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia. Quando Dio lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a mettersi in viaggio ed emigrare in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E una volta passato il pericolo, riporterà la famiglia a Nazareth, dove sarà il primo educatore di Gesù fanciullo e adolescente. Giuseppe portava nel cuore il grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica” (Admirabile signum, 7).
Fonte – il blog di don Luciano