LA VIOLENZA DEI PICCOLI CHE LI FA ADULTI NELLA FEDE
“I nati di donna” sono concepiti nel peccato. Come ogni profeta, come Giovanni il Battista, il “più grande” tra tutti i profeti, possono giungere sulle soglie del Regno dei Cieli, non vi possono entrare. Non per una questione giuridica, ma sostanziale. Chi non è rinato dall’alto non può vedere il Regno dei Cieli; chi non rinasce dallo Spirito nelle acque del Battesimo non vi può entrare. E sono le parole di Gesù rivolte a Nicodemo: quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è Spirito. Occorre rinascere e diventare come bambini, come “il più piccolo” tra i bambini, un bimbo appena nato; un neofita liberato dal peccato e rinato in Cristo è il più grande nel Regno dei Cieli. Vi è entrato, vive nella Grazia e non più nella Legge.
I due regimi non si possono neanche paragonare, anche se quello della profezia ha preparato quello del compimento. Per questo “il Battista è il più grande tra i nati dalla carne”: i suoi occhi avevano visto quanto tutti gli altri profeti avrebbero voluto vedere, esultando per il compimento della stessa gioia che sperimentò Abramo quando vide profeticamente il giorno di Gesù. Per questo “la Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni”; ma con lui si inaugura la pienezza dei tempi, la sua profezia è diversa da tutte le altre, è il grido che annuncia il compimento dell’evento atteso da sempre. E’ Elia che “doveva venire”, il profeta che, rapito in Cielo, dal Cielo doveva tornare per aprire al Messia la porta della terra; Elia, che con il fuoco dello zelo aveva mostrato effimeri gli idoli del mondo e lo strazio della carne che essi serviva, con la sua ascesa aveva profetizzato il destino celeste di ogni uomo rinnovato nello Spirito Santo.
Così Giovanni, sulla soglia del Regno dei Cieli ne dischiudeva le porte perché la carne potesse prepararsi all’incontro con lo Spirito di Dio. E grida ancora nel deserto di questa generazione, attraverso la Chiesa ci indica il cammino di conversione, identico a quello al quale si riferisce Gesù. Quello percorso dai cristiani delle prime generazioni, certi del martirio che avrebbero incontrato diventando cristiani. Un percorso “violento”, durante il quale la misericordia si faceva spesso strada nella durezza dei cuori con le spine della corona intrecciata sul capo di Gesù o i chiodi che ne avevano trapassato le membra. La violenza della Croce che scolpisce il marmo più duro, perché giunga a somigliare al modello.
Non c’è conversione, infatti, senza un serio senza un serio cammino di conversione nel quale, come nella Chiesa primitiva coloro che si preparavano a ricevere il battesimo, fare “violenza” alla carne, le “opere degne della conversione” di cui parlava il Battista, con le quali manifestare a Cristo il desiderio di diventare suoi. La stessa “violenza” che la vita cristiana esige ogni giorno nel combattimento contro satana. Non si scherza, ci aspetta il martirio, perché senza le stigmate nella carne non si è cristiani, il segno cioè della presenza di Dio tra gli uomini. Nella pienezza della storia inaugurata dal Battista, “il Regno dei Cieli soffre la violenza” del demonio: “il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e Satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra… pieno di grande furore, sapendo che gli resta poco tempo” (Cfr. Ap. 12).
Ha fretta il demonio, deve strappare gli uomini a Gesù, e per questo muove guerra alla “discendenza” di Maria, ai “più piccoli del regno dei Cieli”, “contro quelli che custodiscono i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù”. Per questo si impadroniscono del Regno dei Cieli solo quanti hanno saputo combattere con violenza. Con l’inerme violenza della Croce: “essi lo hanno vinto grazie al sangue dell’Agnello e alla parola della loro testimonianza, e hanno odiato la loro vita fino a morire”. Ecco dunque la violenza alla quale ci chiama oggi il Signore: quella che ci fa andare dietro a Gesù odiando la carne per rivestirci di Lui ed essere colmi di Spirito Santo. La violenza che apre le braccia per caricarsi della violenza del male, la violenza di un bambino appena nato. E’ Lui che il drago vuole divorare, perché sa che, una volta fatto fuori il più piccolo può far cadere anche i più grandi. E’ a noi che muove guerra, in famiglia e al lavoro.
Il demonio sa che, se riesce a farci insuperbire, può distruggere il rapporto con il coniuge e i figli, e trascinare tutti nella disperazione. La vera guerra, infatti, non è contro tuo figlio! Il demonio sta attaccando te; tuo figlio può cadere da un momento all’altro, ma la tua umiltà e la tua violenza crocifissa possono salvarlo! Quanto siamo ingannati…. Ci accaniamo contro gli altri, perché in fondo li giudichiamo, e non ci rendiamo conto che la battaglia vera sta infuriando contro di noi. Se stiamo giudicando moglie, marito, figli o chi sia, per quanto deboli e peccatori siano, possiamo starne certi: il demonio ci ha puntato per far fuori anche gli altri. Quando nostro figlio sta peggio è il momento di umiliarci di più, di lasciarci trafiggere dagli insulti, dalle menzogne, dal rifiuto, ovunque e soprattutto con lui. La storia e le persone che ci chiamano a conversione, infatti, sono “quell’Elia che deve venire” per annunciarci l’avvento del Messia. Che fare? Umiliarci in questo Avvento, perché contro la “violenza dell’umiltà” il demonio non può nulla.
Commento a cura di don Antonello Iapicca
Qui l’intervista Rai a don Antonello
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