“Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”.
Siamo abituati, quando pensiamo al nostro rapporto con Dio, a pensarlo sempre come un intreccio di diritti-doveri. Sovente parliamo anche nel nostro linguaggio comune di “doveri del cristiano”.
Se c’è una verità di fondo anche in simili espressioni bisogna però stare attenti a non fraintendere le parole e a non lasciarsi sviare nella natura di fondo della nostra fede. Il vangelo di oggi ci aiuta in questo. La nostra fede prima di essere un diritto-dovere riguardo a qualcosa, è innanzitutto un desiderio profondo di Dio di prenderci in braccio nei nostri affanni e nelle nostre oppressioni.
La fede è la capacità di tornare a respirare lì dove la vita invece ti toglie l’ossigeno. A questo dobbiamo pensare quando pensiamo alla nostra fede. Dobbiamo pensare al respiro e non all’ennesimo dovere in mezzo a centinaia di altri doveri della vita. “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”.
Tutto questo si realizza in un modo molto semplice, e proprio perché semplice a noi risulta complesso: vivere affidati al Signore. Il mio non vuole essere un gioco di parole. Quando dico che la cosa più difficile del vangelo di oggi è la semplicità della proposta, voglio dire che essendo noi pronti a complicare tutto, ci risulta difficile vivere “semplicemente” una cosa che ci viene chiesta.
Gesù non chiede eroismi, chiede innanzitutto umiltà. Non ci chiede grandi imprese ma capacità di affidarci a Lui. Questo trasforma la nostra vita in un miracolo perché la mette nelle condizioni di sprigionare tutto quello che le persone che vivono solo con le proprie forze non hanno: la bellezza di vivere, al contrario della stanchezza dell’esistenza che è solo frutto di un immenso esaurimento a cui tutti andiamo incontro quando viviamo “preoccupati” invece di “affidati”.
Commento di don Luigi Maria Epicoco.