don Luciano Labanca – Temi dell’Avvento: 1. L’attesa

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La parola attesa, dal latino “adtendere”, “tendere verso”, indica uno stato psicologico ed emotivo di chi é proiettato verso un avvenimento che sta per realizzarsi, come puó essere l’incontro con una persona, l’incontro tra l’amato e l’amata, la visita di un luogo particolare, una difficile prova da affrontare, un obiettivo da raggiungere, con tutta la carica di ansia o di impazienza che esso comporta. La maggior parte di noi associa, però, l’attesa ad un quasi “non tempo”, che scorre inutilmente e in modo passivo, indipendentemente dalla nostra volontà, verso la cosa che si aspetta. Spesso, invece, é proprio la qualità di questa attesa a dare differente significato e impatto all’evento che si sta realizzando. Si pensi alla bellezza del tempo di 9 mesi con il quali la mamma e il papà, certo fisicamente coinvolti in maniera diversa, ma con pari tensione emotiva, si preparano alla nascita di un figlio, col vivo desiderio di conoscere e incontrare il frutto del loro amore. Oppure all’agricoltore che con pazienza e costanza, prendendosene cura, attende che la pianta porti il frutto desiderato.

È evidente, dunque, che l’attesa non è un “non-tempo”, quanto invece un tempo in sé stesso compiuto, nella misura in cui si realizza un coinvolgimento attivo nella preparazione dell’evento venturo. Ed é proprio questo uno dei significati dell’Avvento. Esso é tempo di attesa alla celebrazione del Natale, come momento centrale della nostra vita liturgica e spirituale, ma prima di tutto é palestra per esercitare la virtù dell’attesa dell’Evento degli eventi, il nostro incontro con il Signore! Tutta la vita umana e cristiana, dalla nascita, passando per tutte le fasi di crescita, segnate dalle varie tappe sacramentali e di impegno sociale ed ecclesiale, é una costante tensione verso questo incontro con il Signore.

La stessa vita della Chiesa, come popolo di Dio in cammino, dalla Pentecoste in poi, rappresenta un unico percorso verso il fine della storia, ossia il ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi, quando Egli istaurerá il suo Regno senza tramonto. La liturgia, come preghiera della Chiesa, è tutta impregnata di questo senso di attesa. Si pensi a quello che in ogni celebrazione eucaristica la comunità cristiana ripete dopo la consacrazione: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. La tradizione della Chiesa, specialmente prima della riforma liturgica, prevedeva sia la costruzione delle Chiese, sia la celebrazione dei divini misteri rivolti ad orientem, al luogo cioè da cui sorge il sole, come segno del Vero Sole, Cristo, che sorge sull’umanità in attesa. Ancora oggi, ogni mattina, la comunità credente eleva il bellissimo Cantico di Zaccaria, in cui si ripetono le parole del Vangelo di Luca: “Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace” (Lc 1,78-19).

Come stare, dunque, in questa attesa? Tutta la Scrittura, in modo particolare i brani evangelici delle ultime settimane del tempo ordinario e della prima domenica di Avvento, ci hanno esortato a non vivere in modo passivo il nostro tempo di attesa, ma a vigilare e stare svegli, perché l’evento accade nell’ora che non immaginiamo: “Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Mt 24, 44: cfr. anche Mc 13,33-37; Lc 21,36; 12,38-46). Il tema dell’attesa é presente trasversalmente in tutta la Scrittura ed é profondamente collegato a quello della promessa; non c’é attesa nella Scrittura, che non sia associata anche ad una promessa: si pensi ad Abramo, nostro padre nella fede, che credette alla promessa della discendenza da parte di Dio, mettendosi in viaggio da una terra certa, verso l’ignoto, con la paziente attesa di vedere realizzata tale promessa (cfr. Gen 12-15).

Si pensi a Mosé, che sulla base di una promessa, si sottopone alla lunga attesa del cammino nel deserto con il popolo di Israele per entrare nella Terra (Es 3; Es 13). La sezione profetica dell’Antico Testamento, poi, é tutta imperniata su questo binomio promessa-attesa. I profeti sono gli annunciatori della promessa di Dio e invitano costantemente il popolo all’attesa. Un brano del profeta Isaia si presenta emblematico. Al cap. 21 il profeta presenta la figura misteriosa, ma allo stesso tempo eloquente della sentinella. Dice il profeta: “Mi gridano da Seir: “Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?”. La sentinella risponde: “Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!” (Is 21, 11-12). La sentinella è simbolo dell’attesa vigilante, di chi viene posto a custodire il popolo, per evitare che venga sorpreso dall’assalto dei nemici. È un po’ il ruolo di ogni vero profeta: quello di aiutare a vivere l’attesa in modo significativo, annunciando che il giorno arriverà, perché è una certezza, ma nonostante questo la notte é reale.

Che significa, dunque, attendere, se non sapere nella fede che il compimento arriverá, ma che per ora ci tocca camminare ancora nel “buio”, di quello che il teologo Oscar Culmann (Cristo e il Tempo, 1946), individuava come la tensione tra il “giá” e il “non ancora”, ossia tra quello che si é giá ricevuto in termini di salvezza, come promessa e grazia e quello che non si é ancora realizzato in termini di compimento e visione. Il grande rischio è sempre quello di scindere questi due aspetti, di un “giá” privo del “non ancora”, che appiattisce la vita umana ad un oggi insignificante e causale, privo di qualunque apertura ad una futura realizzazione, o di un “non ancora” privo del “giá”, che proietta tutto in un futuro indeterminato e incerto, privando l’uomo del valore del tempo presente, come “oggi” della salvezza. Tenere insieme questi due aspetti, significa dare un vero senso all’attesa: un tempo significativo e pieno, in cui come in una spirale ascendente, si dipana il filo della nostra storia verso l’incontro con il Signore che viene.

In questa prospettiva, allora, l’Avvento ha davvero tanto da insegnarci, sia come cristiani, sia come uomini e donne di questa generazione, che specialmente nel nostro occidente “sviluppato”, sembra correre senza senso dietro un’insegna incomprensibile come quegli ignavi forsennati di cui ci parla Dante nel III canto dell’inferno: “E io, che riguardai, vidi una ’nsegna / che girando correva tanto ratta, / che d’ogne posa mi parea indegna; / e dietro le venìa sì lunga tratta / di gente, ch’i’ non averei creduto / che morte tanta n’avesse disfatta” (Inf., III,  52-57). L’antidoto a questa corsa inutile che lascia il nostro cuore insoddisfatto, è data allora dal vero senso dell’attesa. La famosa parabola delle vergini stolte e sagge (cf. Mt 25,1-13), presentataci da Gesù nel Vangelo di Matteo, ci offre due diversi modelli di attesa: quella delle vergini sagge, che insieme alle lampade presero anche con sé l’olio e quella delle vergini stolte, che presero solo le lampade senza olio.

Le prime sono segno di un’attesa significativa, vigilante, previdente, di chi conosce e veglia con consapevolezza, le seconde, invece, sono segno di un “non-tempo” vuoto, senza valore e significato. La loro imprudenza e imprevidenza le pone fuori dalla gioia dell’incontro! Imparare ad attendere, dunque, vuol dire concentrarsi sulla meta, prendere pienamente in mano la propria vita e darle valore, sapendo che c’è un motivo profondo, che può dare senso non solo all’attesa, ma a tutto il percorso. Il grande Sant’Agostino, riflettendo sul senso del tempo, ci ha lasciato una pagina stupenda su proprio su questo tema: “Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa” (Confessioni XI, 20, 26).

Fonte – il blog di don Luciano