I ciechi oggi ci danno un insegnamento fin dall’inizio: sono in due, si sostengono a vicenda, sono già occhi l’uno per l’altro. Riescono a percepire Gesù che esce dalla folla – servono proprio altri sensi per seguire il Santo, fiutarlo tra i tanti che li urtano e scansano – e insieme gridano la loro preghiera: “abbi pietà di noi”.
I due ciechi sono già una comunità orante, mettono nella forza della voce l’intensità della luce che non vedono brillare, gridano “abbi pietà di noi”, come all’inizio di ogni eucarestia, come il primo passo di ogni conversione. Chiedono pietà, perdono per la cecità, considerata un peccato, una disgrazia ricevuta per la colpa di chissà chi. Tuttavia, dietro questa errata interpretazione del motivo della cecità, si cela una verità: tutto Israele è ancora cieco se non riesce a credere a Gesù. Allora il chiedere pietà è già un modo di riconoscere il Messia che viene.
Raggiunto Gesù, non hanno bisogno di chiedere una guarigione devono solo manifestare la loro fede: “sì, o Signore! Crediamo…” e Gesù li tocca. Che bellezza in questi gesti, che potenza ha la fede di veicolare i sogni, i desideri e gli abissi del cuore. Gli occhi si aprono perché già l’intimo vedeva, ha condotto questi due uomini alla soglia del Figlio di Davide, all’atteso per la salvezza di molti, all’Emmanuele, a Dio che sta in mezzo a noi.
Congedandoli Gesù chiede loro uno strano silenzio. Forse vuole che ciascuno faccia il suo personale cammino, dalle tenebre alla luce, dalla cecità alla vista. Gesù chiede una fede che prenda forza da dentro, una fede che vede anche quando è ancora spenta la cometa che indica la strada.
Giuseppe Amalfa SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato